D.P.R. 7 aprile 1994.
Approvazione del progetto-obiettivo AIDS 1994-1996.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto lart. 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante
riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dellart. 1
della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che demanda al Governo la predisposizione
e ladozione dei progetti obiettivo inseriti nel Piano sanitario nazionale,
sentite le commissioni parlamentari permanenti competenti per materia, dintesa
con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome;
Vista la preliminare deliberazione adottata dal Consiglio dei Ministri nella
riunione del 7 settembre 1993;
Acquisiti i pareri delle competenti commissioni parlamentari permanenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Preso atto dellintesa intervenuta nellambito della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano nella seduta del 25 novembre 1993; Vista la deliberazione
del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 30 marzo 1994; Sulla
proposta del Ministro della sanità, di concerto con i Ministri per
la funzione pubblica, del tesoro e del bilancio e della programmazione economica;
Emana
il seguente decreto:
1. È approvato il progetto obiettivo:AIDS 1994-1996.
Atto di intesa della conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le Regioni
e le Province Autonome di Trento e di Bolzano
per la deÞnizione del Progetto-Obiettivo AIDS 1994-1996.
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 25 novembre 1993 ha approvato,
con alcune osservazioni, lAtto di intesa per la deÞnizione del
Progetto-obiettivo AIDS 1994-1996, presentato dal Ministero della sanità,
in data 6 ottobre 1993. Si riporta di seguito il relativo testo, con le
modiÞche conseguenti al recepimento di dette osservazioni:
Perché un progetto obiettivo
Un organico programma di lotta contro linfezione da HIV/AIDS assume
di necessità tutte le caratteristiche proprie di quello che la legge
23 ottobre 1985, n. 595 , deÞnisce come progetto-obiettivo, vale a
dire "un impegno operativo idoneo a fungere da polo di aggregazione
di attività molteplici delle strutture sanitarie, integrate dai servizi
socio-assistenziali, al Þne di perseguire la tutela socio-sanitaria
dei soggetti destinatari del progetto".
È noto infatti che linfezione da HIV/AIDS è un problema
di sanità pubblica emergente con risvolti di carattere sociale, morale,
psicologico che si intrecciano con quelli biologici, clinici e assistenziali
determinando una situazione di particolare complessità sia sul piano
generale che individuale.
In relazione a queste considerazioni, in Italia è stata approvata
una apposita legge in materia (legge 5 giugno 1990, n. 135).
Un progetto-obiettivo Þnalizzato alla "Lotta allAIDS"
è stato inoltre approvato, a stralcio del Piano sanitario nazionale
1990-1992 con le risoluzioni della commissione affari sociali della Camera
dei deputati in data 21 marzo 1990 e della commissione igiene e sanità
del Senato in data 16 maggio 1990. Tali strumenti hanno consentito di pianiÞcare
e di avviare un insieme articolato di iniziative che riguardano tanto gli
ambiti della prevenzione e dellassistenza che quelli della ricerca
e della formazione degli operatori.
Si tratta ora di aggiornare la strategia di intervento complessiva tenendo
conto dei mutamenti delle conoscenze intervenute e delle nuove risultanze
epidemiologiche.
In via preliminare si deve evidenziare che per gli interventi relativi alla
lotta allAIDS, come per la tossicodipendenza, sono state previste
dal legislatore risorse Þnanziarie speciÞche, nellambito
di una disciplina particolare che ha espressamente disposto la periodica
revisione dei programmi di intervento ai Þni di adeguarli alle esigenze
che via via si manifestano.
Da ciò consegue che, nei limiti di quelle disponibilità Þnanziarie
e degli indirizzi Þssati dalla legge, ladeguamento dei programmi
alle esigenze sopravvenute possa essere effettuato mediante strumenti a
se stanti, distinti rispetto al piano sanitario nazionale, e precisamente
mediante la periodica presentazione delle relative proposte alle competenti
commissioni affari sociali della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica ai Þni della formulazione dei conseguenti indirizzi. Si
deve sottolineare, al riguardo, che lart. 1 della legge n. 135 del
1990, riguardante il programma di costruzione e la ristrutturazione dei
reparti di ricovero per malattie infettive, la realizzazione di spazi per
le attività di ospedale diurno e listituzione o il potenziamento
dei laboratori di microbiologia, virologia e immunologia nonché di
altri reparti individuati dalle regioni perché impegnati nellassistenza
dei casi di AIDS per oggettive e documentate condizioni epidemiologiche,
espressamente prevede laggiornamento degli interventi stabilendo che
le opere vengano realizzate secondo le indicazioni che periodicamente sono
date dalla Commissione nazionale per la lotta contro lAIDS, sentita
la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato e le regioni, in relazione
alle previsioni epidemiologiche e alle conseguenti esigenze assistenziali.
Conoscenze e previsioni epidemiologiche: la domanda
LOrganizzazione mondiale della sanità stima che allinizio
di maggio 1993 si siano già veriÞcati nel mondo oltre 3 milioni
di casi di AIDS ed almeno 14 milioni di casi di infezione da HIV.
Nella sola Europa le stime indicano in circa 150.000 il numero dei casi
di AIDS, di cui 20.000 in Italia. Più difÞcile risulta la stima
del numero di soggetti con infezione da HIV. Anche in Italia, per descrivere
le dimensioni del fenomeno delle infezioni HIV e dellAIDS, vengono
utilizzate stime di incidenza e prevalenza, sia prodotte da sistemi di sorveglianza
che ottenute utilizzando studi analitici e modelli matematici. Sulla base
delle conoscenze disponibili è possibile stimare un tempo mediano
di incubazione tra infezione ed AIDS superiore ai 12 anni; tale intervallo
è fortemente dipendente dalletà al momento della sieroconversione.
Il livello di accuratezza e di precisione delle stime di incidenza e prevalenza
di AIDS, sia per quanto riguarda lo stato attuale dellepidemia (1993)
che le previsioni a breve termine (1995), sono da considerare ormai molto
afÞdabili.
A) Stato dellepidemia
a) Incidenza di AIDS.
Dai dati del sistema di sorveglianza, tenendo conto del ritardo di notiÞca,
nel 1993 risulta che si veriÞcano in Italia almeno 1.900 nuovi casi
di AIDS ogni sei mesi, corrispondenti ad un tasso di incidenza di 3.4/100.000
abitanti, di cui circa 400 femmine (1.2/100.000) e 1500 maschi (5.6/100.000).
I casi di AIDS sono concentrati nella fascia detà 20-39 anni
e lincidenza di AIDS ha notevole variabilità geograÞca.
b) Prevalenza di AIDS.
Dai dati del sistema di sorveglianza, integrati con i risultati degli
studi di follow-up attivo per le stime di sopravvivenza (sopravvivenza mediana
in AIDS circa quindici mesi), deriva una stima di prevalenza di circa 7.400-7.800
persone con AIDS viventi alla Þne del II trimestre 1993. La stima
appare molto afÞdabile.
c) Incidenza di infezioni HIV.
La stima minima ottenuta dai sistemi di sorveglianza è di circa
9.500 nuove diagnosi di infezione HIV/anno, di cui circa 2.900 in donne
(a Þne 1992). I modelli matematici integrati stimano 14.500 nuovi
casi incidenti nel 1992, di cui 7.000 circa donne, che, secondo i modelli,
costituirebbero oltre il 40% delle nuove infezioni veriÞcatesi nel
1992. Le conoscenze oggi disponibili permettono di affermare che il picco
di incidenza di infezioni da HIV si è veriÞcato in Italia tra
il 1986 ed il 1987, con valori stimati da modelli matematici dinamici e
back-calculation di almeno 5.000 nuove infezioni a trimestre, quasi esclusivamente
tra i tossicodipendenti.
d) Prevalenza di infezioni HIV.
Sulla base di studi osservazionali è possibile stimare in almeno
67.500 il numero delle persone con infezioni HIV diagnosticate in Italia,
di cui circa il 29% donne.
Dai modelli matematici (basati su stime formulate allinizio 1991 di
circa 68.900 casi prevalenti) si giunge a stimare circa 89.000 persone con
infezione HIV viventi a Þne 1992, di cui circa il 37% maschi tossicodipendenti,
il 25% maschi non tossicodipendenti, il 12% femmine tossicodipendenti ed
il 26% femmine non tossicodipendenti.
La quota di infezioni in maschi attribuibile a rapporti sessuali con persone
dello stesso sesso non sarebbe superiore al 9%.
B) Previsioni al 1995
Il breve intervallo di tempo scelto per le previsioni consente di ritenere
che si tratta di dati sufÞcientemente afÞdabili per la pianiÞcazione
di interventi di sanità pubblica, soprattutto per quanto riguarda
gli aspetti qualitativi della modalità di diffusione dellepidemia,
importanti per la deÞnizione delle strategie di prevenzione e le stime
quantitative della prevalenza di AIDS, cruciali per la deÞnizione
dei bisogni di assistenza, diagnosi e cura.
a) Incidenza di AIDS.
Si prevede che nel 1995 si dovrebbero veriÞcare ogni trimestre,
con gli attuali criteri di deÞnizione di caso, circa 1.800 nuovi casi
di AIDS contro i circa 1.000 nuovi casi di AIDS a trimestre del 1993, praticamente
un raddoppio dellincidenza stimata per il 1993. La modiÞca di
deÞnizione di caso attuata dal 1° luglio 1993, secondo gli accordi
intercorsi in sede europea, potrebbe determinare una anticipazione della
diagnosi e un conseguente aumento del numero dei casi deÞniti come
AIDS.
In base alle conoscenze sulla storia naturale della malattia è possibile
affermare che almeno il 95% dei casi di AIDS al 1995 non è prevenibile,
poiché deriverà da persone che hanno già contratto
linfezione. In altre parole gli interventi di prevenzione che saranno
attuati - peraltro assolutamente indispensabili - saranno in grado di ridurre
lincidenza di infezioni nel breve periodo e quindi i casi di AIDS
nel medio e lungo periodo, ma non potranno ridurre i bisogni assistenziali
nel breve periodo.
b) Prevalenza di AIDS.
Dai dati dei sistemi di sorveglianza, integrati con i risultati degli
studi di follow-up attivo per le stime di sopravvivenza, e dai modelli matematici,
deriva una previsione di prevalenza di circa 10.000-12.000 persone con AIDS
viventi nel 1995. Soprattutto il bisogno di assistenza ospedaliera per persone
con AIDS raddoppierà rispetto al 1993 e non sarà in alcun
modo inþuenzato dagli interventi di prevenzione.
Occorre inoltre tener conto che, malgrado le previsioni del presente progetto
volutamente si limitino al 1995, per ottimizzare precisione e validità,
per quanto riguarda la prevalenza di AIDS si può affermare con sufÞciente
afÞdabilità che il numero massimo di persone con AIDS viventi
non sarà raggiunto prima del 2000, anno in cui vi potrebbero essere
circa 17.000 persone con AIDS viventi in Italia.
c) Incidenza di infezioni HIV.
Le previsioni di incidenza di infezioni HIV al 1995 dipendono fortemente
dalle conoscenze disponibili sulla trasmissione dellinfezione per
ciascuna modalità, da parametri comportamentali (tassi di acquisizione
di nuovi partner sessuali, tassi di acquisizione di partner, di scambio
di siringhe) nei diversi gruppi di popolazione, modalità di interazione
tra popolazione generale e tossicodipendenti nei comportamenti sessuali,
incidenza e prevalenza di tossicodipendenza.
Le analisi di sensibilità dei modelli matematici mettono particolarmente
in risalto la dipendenza delle previsioni dalle assunzioni sulle probabilità
di trasmissione nei rapporti sessuali.
Sulla base delle conoscenze disponibili è possibile ipotizzare che:
- in termini di frequenza, lincidenza di infezioni da HIV sta diminuendo
tra i tossicodipendenti, probabilmente per la progressiva riduzione della
proporzione di tossicodipendenti con comportamenti ad alto rischio, sia
per un parziale cambiamento dei comportamenti che per lesaurimento
dei sottogruppi ad alto rischio a causa dellinfezione;
- in termini di frequenza, lincidenza di infezioni HIV nella popolazione
generale sta aumentando sensibilmente, in particolare tra le donne;
- nella popolazione di tossicodipendenti maschi, oltre l85% delle
nuove infezioni da HIV viene determinato dalluso in comune delle siringhe,
mentre tra le donne tossicodipendenti almeno il 35% delle nuove infezioni
è determinato da trasmissione sessuale;
- nella popolazione generale almeno il 60% delle nuove infezioni tra gli
uomini è attribuibile a rapporti sessuali con prostitute tossicodipendenti,
mentre tra le donne almeno l80% delle nuove infezioni deriva da rapporti
con partner sessuali tossicodipendenti (o ex tossicodipendenti). In altre
parole la maggioranza delle nuove infezioni nella popolazione generale sarà
determinata da rapporti sessuali con tossicodipendenti o ex tossicodipendenti.
Solo il 20% circa delle nuove infezioni tra i maschi e tra le donne sarebbe
legato a rapporti sessuali con persone non tossicodipendenti.
Le simulazioni da modelli matematici dimostrano che in Italia sarebbe difÞcilmente
prevedibile una epidemia auto-sostenuta da rapporti sessuali nella popolazione
generale, nella quale viceversa la diffusione dellepidemia è
ancora in gran parte condizionata dalla interazione con persone tossicodipendenti
o già tossicodipendenti.
d) Prevalenza di infezioni HIV.
Le previsioni di prevalenza di infezione HIV sono relativamente afÞdabili
per quanto riguarda la proporzione di prevalenza determinata dalla incidenza
attuale. Su tale base si stima che nel 1993 siano presenti in Italia 89.000
infetti da HIV (di cui circa il 37% maschi tossicodipendenti, il 25% maschi
non tossicodipendenti, il 12% femmine tossicodipendenti ed il 26% femmine
non tossicodipendenti) e che nel 1995 saranno 109.000.
Unipotesi di distribuzione per sesso e modalità di acquisizione
dellinfezione, la cui validità dovrà essere confermata
nel tempo, indica che di tali casi circa il 28% potrebbe veriÞcarsi
in maschi tossicodipendenti, il 29% in maschi non tossicodipendenti soprattutto
attraverso rapporti sessuali promiscui, il 9% in femmine tossicodipendenti
ed il 34% in femmine non tossicodipendenti.
Le previsioni di incidenza e prevalenza di infezioni HIV al 1995, in particolare
per quanto riguarda la popolazione generale e le donne, pur rappresentando
la miglior approssimazione possibile sulla base delle conoscenze scientiÞche
oggi disponibili, vanno considerate come estremamente dipendenti da conoscenze
a validità limitata sui comportamenti sessuali della popolazione
e sulle probabilità di trasmissione dellinfezione per contatto
sessuale.
Una migliore deÞnizione dei livelli di infezione nella popolazione
potrà essere ottenuta con lapplicazione su larga scala di indagini
di prevalenza, che sarà facilitata dalla prossima attuazione del
decreto sulle rilevazioni epidemiologiche e statistiche condotte con modalità
che siano tali da non consentire lidentiÞcazione della persona,
di cui al comma 2 dellart. 5 della legge n. 135 del 1990.
e) Patologie associate o condizionate dallinfezione da HIV.
Tra le malattie la cui insorgenza è favorita dallinfezione
da HIV, la tubercolosi si caratterizza per il fatto di essere lunica
infezione aerodiffusa a potersi trasmettere anche ai soggetti non immunodepressi.
Studi in corso nel nostro Paese hanno permesso di stimare una incidenza
di malattia tubercolare del 2,2% per anno tra i soggetti con infezione da
HIV; applicando questa stima alla popolazione prevalente di soggetti con
infezione da HIV presente oggi nel nostro Paese (89.000 persone) è
possibile ipotizzare il veriÞcarsi ogni anno di circa 1900 casi di
malattia tubercolare legata allinfezione da HIV. Questo fatto potrebbe
contribuire ad una ripresa del contagio tubercolare, soprattutto nella popolazione
che ha contatti con soggetti con infezione da HIV e con soggetti con malattia
tubercolare provenienti da zone di endemia tubercolare. Inoltre la contemporanea
presenza nei reparti di degenza di soggetti capaci di diffondere il contagio
tubercolare (i soggetti con infezione da HIV e tubercolosi attiva) e di
pazienti altamente suscettibili al contagio (tra cui in particolare il complesso
dei pazienti con infezione da HIV/AIDS) può favorire la comparsa
di epidemie nosocomiali. Tali episodi si sono già veriÞcati
anche in Italia ed hanno coinvolto, in qualche caso, anche il personale
di assistenza.
Le linee-guida messe a punto recentemente negli Stati Uniti dai CDC per
prevenire la diffusione nosocomiale della tubercolosi prevedono che le strutture
siano costituite da stanze a 1 e 2 letti, con pressione negativa e dotate
di 6 ricambi daria lora, senza ricircolo dellaria, misure
daltronde già previste nel programma italiano relativo alla
ristrutturazione dei reparti di degenza per malattie infettive.
La Commissione nazionale per la lotta contro lAIDS ha affrontato i
diversi problemi determinati dalla tubercolosi, con particolare riguardo
agli aspetti preventivi e di sanità pubblica ed emanerà speciÞche
linee-guida.
f) Patologie correlate allAIDS.
Le malattie a trasmissione sessuale (MTS) sono strettamente correlate
allepidemia di AIDS. I soggetti con MTS ulcerative costituiscono un
gruppo ad aumentato rischio di acquisizione dellinfezione da HIV.
Per affrontare globalmente il problema delle MTS è necessario rideÞnire
le modalità di approccio a questa patologia, con il coinvolgimento
e la collaborazione tra tutte le Þgure professionali e di tutti i
servizi interessati.
Prevenzione
La prevenzione, linformazione, leducazione continuano a rappresentare
le armi più efÞcaci nella lotta contro lAIDS, come confermato
dal recente documento (1993) della Organizzazione mondiale della sanità
"La strategia mondiale di lotta contro lAIDS", che rideÞnisce
il programma già messo a punto nel 1987, alla luce delle nuove conoscenze
ed esigenze.
È importante che non si determinino grandi soluzioni di continuità
nellimpegno per la prevenzione dellAIDS.
La continuità è da considerare, come è stato evidenziato
anche da risoluzioni degli organismi di sanità pubblica sovranazionali,
un elemento fondamentale per lefÞcacia della prevenzione.
In rapporto alle conoscenze oggi disponibili sullandamento dellepidemia
è però necessario deÞnire speciÞci ed aggiornati
programmi di prevenzione che devono tener conto essenzialmente della condizione
personale dei soggetti interessati. Nellarea della prevenzione devono
rientrare i seguenti interventi:
a) Programmi di riduzione del danno nei tossicodipendenti.
I programmi hanno lobiettivo di ridurre lincidenza di infezioni
trasmissibili per via ematica e sessuale nei tossicodipendenti, oltre a
ridurre lincidenza e la letalità associata allassunzione
di stupefacenti.
La realizzazione di tali programmi dovrebbe passare attraverso:
- il contatto dei tossicodipendenti che non accedono ai servizi mediante
appositi programmi "da strada", con distribuzione di presidi che
rendano meno pericolose le conseguenze dei comportamenti a rischio;
- il potenziamento dei programmi di mantenimento con farmaci sostitutivi,
anche per cercare di facilitare lutilizzazione dei SERT da parte dei
tossicodipendenti.
b) Programmi di riduzione del danno nellarea della prostituzione.
Questi programmi hanno lobiettivo di ridurre lincidenza di
infezioni trasmissibili per via ematica e sessuale, attraverso la riduzione
sia dei comportamenti associati ai danni, che dei rischi associati a tali
comportamenti.
c) Programmi integrati di informazione ed educazione sessuale.
I programmi hanno lobiettivo di ridurre lincidenza di infezioni
trasmissibili per via ematica e sessuale nella popolazione giovanile. La
realizzazione di tali programmi dovrebbe essere basata su:
- concentrazione degli sforzi per raggiungere i giovani di età inferiore
ai 16 anni, cioè gli adolescenti che non hanno ancora iniziato lattività
sessuale;
- inserimento delle informazioni Þnalizzate alla prevenzione allinterno
di attività informative ed educative positive che siano incentrate
sulleducazione alla salute, quindi anche sulla sessualità e
non sulla malattia;
- afÞdamento agli insegnanti opportunamente preparati delle attività
educative ed informative, in collaborazione con le strutture sanitarie;
- estensione dei programmi di prevenzione anche ai giovani della scuola
dellobbligo, sia essa pubblica che privata;
- contatto dei giovani che non frequentano la scuola e che rappresentano
un gruppo ad altissimo rischio, attraverso "unità da strada"
o programmi nei luoghi di aggregazione, compresi quelli in cui vengono effettuate
le pratiche sportive.
d) Programmi di informazione.
I programmi di informazione per la popolazione generale anche se hanno
una priorità inferiore a quella degli anni precedenti, continuano
ad avere lobiettivo di mantenere elevata lattenzione dellopinione
pubblica sui problemi dellepidemia e sui possibili interventi di prevenzione,
così come richiede la già ricordata strategia di lotta allAIDS
della Organizzazione mondiale della sanità.
Le iniziative di informazione debbono essere organicamente inserite in programmi
locali di intervento e riguardare anche la prevenzione della tubercolosi
collegata allAIDS.
Gli interventi di prevenzione dovranno prevedere anche la promozione del
test per la ricerca degli anticorpi anti-HIV, sempre offerto con il counseling
pre e post-test e garantendo la possibilità di eseguire laccertamento
con il consenso ed anche in forma anonima. Per soggetti che si trovino in
determinate situazioni (ad esempio le donne in età fertile, le gravide,
i detenuti, ecc.) o abbiano comportamenti a rischio, dovranno essere identiÞcate
appropriate modalità per lofferta attiva e lesecuzione
del test nei luoghi in cui tali soggetti vengono a trovarsi (consultori,
carceri, ecc.).
Gli interventi assistenziali
Il già ricordato documento di aggiornamento della strategia di lotta
allAIDS della Organizzazione mondiale della sanità sottolinea
che "man mano che compariranno nelle persone infette dapprima le malattie
legate allHIV e poi lAIDS (una progressione che comprende un
periodo di circa 10 anni a partire dallinfezione primaria), la credibilità
dei programmi di lotta contro lAIDS sarà sempre più
giudicata dal grado di assistenza che sarà offerto da questi programmi".
Nel corso degli anni, con il diffondersi dellinfezione nella popolazione
e la progressione degli infetti verso la fase sintomatica, i bisogni assistenziali
per i malati di AIDS sono notevolmente aumentati. Negli ultimi anni, parallelamente
al crescere del numero dei casi ed alla standardizzazione delle procedure
diagnostiche, la durata della degenza dei casi di AIDS nei Paesi occidentali,
incluso il nostro, si è ridotta. Limpatto sulle strutture assistenziali
non è stato uniforme nel Paese ma è stato condizionato da
un lato dalla prevalenza di infetti e dallaltro dalla disponibilità
di strutture.
La strategia assistenziale italiana si è basata e si basa sulla scelta
di alcuni reparti ospedalieri come particolarmente idonei allassistenza
dei malati di AIDS per la speciÞca professionalità ed esperienza
degli operatori, soprattutto di quelli per le malattie infettive ma anche
per limmunologia clinica, lonco-ematologia, la medicina generale.
Accanto a questi, per particolari fasce di età o per peculiari momenti
assistenziali, si collocano i reparti di pediatria, ostetricia e ginecologia,
rianimazione.
Lanalisi delle caratteristiche epidemiologiche della diffusione dellinfezione
da HIV in Italia continua ad evidenziare che il maggior numero di casi di
AIDS è concentrato in quattro regioni (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna
e Liguria), seguite da Piemonte, Toscana e Veneto. Nonostante una progressiva
crescita dei casi nelle regioni a più bassa incidenza, limpatto
dei malati e degli infetti differisce signiÞcativamente a seconda
delle regioni, almeno nella presente fase dellepidemia.
A differenza del passato sono oggi disponibili in Italia alcuni strumenti
per valutare lutilizzazione delle strutture ospedaliere per i malati
di AIDS, il che costituisce una base più solida per la programmazione
degli interventi.
Lanalisi della distribuzione dei casi per provincia di residenza mostra
la tendenza alla concentrazione dei casi in grandi aree urbane, con differenze
anche importanti tra le diverse zone, tendenza confermata anche dallanalisi
dei casi per provincia di segnalazione. Questo tipo di analisi è
più utile ai Þni della programmazione sanitaria in quanto consente
di effettuare una valutazione più diretta dei bisogni assistenziali,
nella realtà in cui i pazienti vivono e risente meno dellofferta
di strutture.
Lindagine condotta dal "Centro per le attività assistenziali
per i pazienti affetti da HIV", promosso dal Ministero della sanità,
ha consentito di conoscere, grazie ad una copertura di oltre l80%
dei reparti di ricovero sullintero territorio nazionale e alla standardizzazione
della raccolta dei dati, la reale situazione del settore.
I dati relativi allelaborazione dei primi 78 centri (che hanno assistito
il 62% del totale dei casi di AIDS in Italia) indicano, a conferma di quanto
riscontrato in precedenti rilevazioni, che oltre il 53% dei posti letto
non sono idonei per il ricovero dei pazienti con patologia infettiva; questo
fatto dà ragione del basso indice di utilizzazione dei posti letto
(53,8%).
Solo il 52% delle strutture dispone di un laboratorio di virologia.
I pazienti con AIDS rappresentano il 39% del totale dei degenti ed il 16%
di essi è costituito da soggetti HIV positivi-non AIDS, con ampie
variabilità sia tra le regioni che allinterno di queste, tra
centro e centro. Per ogni paziente con AIDS vengono assistiti in media circa
3 pazienti HIV positivi.
La quota di pazienti con infezione da HIV che riceve un trattamento antivirale
contro lHIV è di circa il 25% e circa il 5% dei pazienti ricoverati
è affetto da tubercolosi.
Nonostante il miglioramento delle conoscenze in tema di AIDS da parte della
popolazione in circa il 14% dei casi il primo riscontro di positività
è stato contestuale alla diagnosi di AIDS.
La gravità delle condizioni generali ed il livello di autosufÞcienza
dei pazienti inþuiscono in modo determinante sullimpegno assistenziale
per i soggetti sieropositivi. Oltre il 15% dei pazienti versa in uno stato
di grave incapacità mentale e circa il 7% di essi è vicino
alla vita vegetativa. Circa un quarto dei pazienti, sulla base dellindice
di Karnofsky, è in uno stato di grave carenza di autosufÞcienza.
Circa l8% dei pazienti giudicato clinicamente dimissibile non può
essere dimesso per la mancanza di strutture alternative.
Sopravvivenza e durata dellospedalizzazione per i pazienti con
AIDS.
La sopravvivenza dei casi di AIDS dal momento della diagnosi è uno
degli indici più utili per valutare leffetto degli interventi
diagnostici e terapeutici. I diversi studi condotti nei Paesi occidentali,
pubblicati nel corso degli ultimi anni, concordano che nelladulto
la sopravvivenza mediana dalla diagnosi è inferiore ai sedici mesi.
Gli studi oggi disponibili (AN.CO. e C.U.R.A.) concordano altresì
nellevidenziare che circa il 20% del periodo di sopravvivenza dei
pazienti con AIDS è trascorso in ospedale. Esperienze rilevanti per
dimensioni ed area geograÞca ad alta prevalenza di infezione indicano
inoltre lesigenza di garantire una adeguata assistenza domiciliare
agli ammalati di AIDS per circa 90-100 giorni allanno; ciò
comporterebbe la possibilità di assistere nel corso di un anno tre-quattro
pazienti per ogni posto di assistenza extraospedaliera disponibile.
Indicazioni di programmazione
Partendo dallaggiornata stima dei casi di AIDS attesi nel triennio
1993-1995 ed ipotizzando un bisogno di degenza ospedaliera che riguardi
il 20% del periodo di durata in vita di ogni ammalato di AIDS, con un tasso
di occupazione (in presenza di strutture idonee) del 75%, è possibile
ricalcolare con sufÞciente precisione il numero dei letti necessari
nei prossimi anni. Accanto ai casi di AIDS sono da assistere in regime di
degenza ordinaria anche soggetti con infezione da HIV sintomatica, ma non
ancora AIDS. Sempre sulla base degli studi disponibili è possibile
valutare i bisogni assistenziali di posti letto per HIV-positivi non AIDS
in circa il 20% di quelli per i casi di AIDS.
Partendo da tali elementi di fatto si può stimare che nel 1993 per
la sola assistenza dei soggetti con patologia da HIV sono necessari circa
2500 posti letto idonei (oggi vi è la disponibilità, in stanze
ad uno o due letti, di circa mille posti) e che allinizio del 1995
saranno necessari per gli stessi gruppi di pazienti non meno di 3350 letti.
La distribuzione di tali letti sul territorio nazionale dovrebbe tener conto,
in larga misura, della distribuzione percentuale dei casi di AIDS per regione;
allinterno delle singole regioni dovrebbero essere privilegiate le
aree metropolitane e quelle urbane maggiormente colpite.
Accanto alle strutture per adulti va, poi, riservata in ogni regione una
quota di letti, da ubicare in strutture ad elevata specializzazione, per
lassistenza ai bambini sieropositivi.
Lindagine condotta su 22 centri pediatrici maggiormente impegnati
nellassistenza a minori sieropositivi, dal "Centro per le attività
assistenziali per i pazienti affetti da HIV", ha evidenziato la presenza
di una media di 80 pazienti in follow-up per centro, con una media di 22
bambini ricoverati al giorno per malattie da HIV. Va ricordato che nel caso
dei nati da madre sieropositiva è necessario che vengano seguiti
in follow-up tutti i bambini, anche quelli non infetti.
La stessa indagine ha mostrato la necessità del trattamento domiciliare
per il 63% dei bambini con malattia da HIV, contro unofferta di assistenza
che attualmente copre solo il 27% dei casi, probabilmente con livelli assistenziali
non adeguati alle esigenze.
Nella evoluzione epidemiologica, i casi di AIDS pediatrici (soggetti di
età inferiore ai 13 anni) rappresentano attualmente circa il 2% del
totale; sono però assai rilevanti i problemi posti dalla infezione
da HIV in questa età, anche per la diversa evoluzione e gravità
che la patologia assume in una parte consistente dei casi. Inoltre, costituiscono
motivo di impegno, sul piano assistenziale, anche i casi (qualche migliaio)
di bambini nati da madre sieropositiva, negativizzati con il tempo.
Sui futuri bisogni in questo ambito assistenziale grava il dubbio che alla
possibile minore frequenza di infezione nelle gestanti sieropositive tossicodipendenti
possa fare riscontro una crescita dovuta alla estensione dellinfezione
tra le donne non tossicodipendenti infettate per via sessuale.
È necessario sottolineare come la politica sanitaria al riguardo
sia sempre stata basata sul principio che lAIDS non rappresenta lunica
patologia infettiva che comporta la necessità di ricovero, che le
malattie infettive classiche non sono scomparse, che spesso si presentano
in forme nuove e più gravi e che, inÞne, nuove malattie infettive
si presentano allosservazione.
È stato calcolato che per le necessità assistenziali che dette
malattie determinano in Italia siano indispensabili non meno di 2.500 letti
distribuiti in modo sostanzialmente omogeneo in rapporto alla popolazione.
È, infatti, possibile un contenimento del complessivo numero di posti
letto necessari, entro il suddetto limite, sempre che siano disponibili
strutture idonee sul piano funzionale e si adotti una politica più
oculata, volta alla riduzione dei ricoveri non essenziali.
Considerato, così, che in talune realtà locali esistono reparti
di malattie infettive che Þnora non hanno accolto, anche per particolari
situazioni organizzative, i malati di AIDS e che per converso nei reparti
di malattie infettive vengono spesso ricoverati pazienti che potrebbero
essere efÞcacemente trattati in altri reparti o presso gli ambulatori
o nelle strutture di "day hospital", si è dellavviso
che, ricorrendo ad idonee misure correttive mirate alla razionalizzazione
degli interventi e al contenimento dei fabbisogni entro le esigenze oggettive,
la dotazione complessiva a regime, nel periodo di sviluppo dellepidemia
preso in considerazione, possa essere determinata in 5.835 posti letto,
cui vanno aggiunti 1.165 posti di "day hospital".
Nella distribuzione territoriale di tale complessiva dotazione, tenendo
conto dei vari elementi in precedenza evidenziati, si è dellavviso
che per il 40% almeno dei posti si debba tener conto del numero dei casi
di AIDS nelle diverse regioni e per il restante 60% della distribuzione
della popolazione.
Va osservato che, in ogni caso, si tratta di strutture utilizzabili in modo
indifferenziato per ogni malattia, sopratutto a carattere infettivo, ma
anche per quelle caratterizzate da altre condizioni di suscettibilità
dei pazienti alle infezioni per le più diverse cause e, quindi, idonee
ad un proÞcuo impiego anche quando i bisogni assistenziali per le
persone ammalate di AIDS dovessero, con il tempo, diminuire.
È appena il caso di sottolineare che lipotizzato contenimento
del numero dei posti letto da realizzare mediante ristrutturazioni o nuove
costruzioni (dedotti i posti letto -circa 1.000 - che fanno parte di strutture
già idonee) individua la soglia minima del fabbisogno, senza tener
conto delle integrazioni che potrebbero essere realizzate dalle regioni
con risorse diverse da quelle previste dalla legge n. 135 del 1990 in rapporto
alle particolari esigenze epidemiologiche locali nel campo delle malattie
infettive, e alla complessiva condizione delle strutture assistenziali.
Ciò che si reputa di dover evidenziare è che, nellattuale
fase di preliminare svolgimento delle attività di carattere meramente
progettuale delle opere che furono individuate con la deliberazione del
CIPE del 3 agosto 1990, la rideÞnizione del programma di interventi,
con le stime aggiornate del fabbisogno, appare operativamente possibile
e insieme doverosa, per tener conto delle generali condizioni di difÞcoltà
Þnanziarie in cui versa attualmente il nostro Paese.
Ladeguamento qualitativo e quantitativo delle strutture di ricovero,
nonché la realizzazione dei posti di trattamento a domicilio, sarebbero
provvedimenti insufÞcienti qualora gli strumenti che debbono consentire
la precisione e la tempestività delle attività diagnostiche
non venissero parimenti adeguati. Si ritiene indispensabile, perciò,
che venga rapidamente realizzato il programma che già contempla gli
interventi di potenziamento o di istituzione dei laboratori di microbiologia,
virologia e immunologia e della diagnostica per immagini ad alta tecnologia.
In attenta considerazione dovranno anche essere tenute le necessità
dei servizi di anatomia ed istologia patologica, il cui contributo è
apparso rilevante nel miglioramento della qualità diagnostica nel
settore delle infezioni da HIV negli ultimi anni.
Per quanto concerne il personale, è da ribadire la necessità,
nellambito delle apposite risorse assegnate, di garantire una copertura
degli organici che sia piena nei reparti ospedalieri ubicati nelle grandi
aree urbane e, comunque, nelle strutture con il maggior numero di casi di
AIDS.
Nelle altre situazioni, il grado di copertura degli organici dovrà
essere proporzionale allimpegno assistenziale nei confronti dei malati
di AIDS.
Il modello assistenziale basato sulla continuità.
Il protrarsi negli anni dellinfezione da HIV Þno allAIDS
conclamato determina lesigenza di una continuità assistenziale
che vede avvicendarsi per il paziente interventi di assistenza a domicilio,
prestazioni ambulatoriali e di "day hospital" e ricoveri ospedalieri.
In tale modello assistenziale, che la Commissione nazionale per la lotta
contro lAIDS ebbe ad evidenziare già con i suoi primi documenti
approvati nel 1988, le istituzioni pubbliche ed il volontariato dovrebbero
poter garantire unassistenza tempestiva ed appropriata attraverso
puntuali forme di coordinamento e integrazione.
Nel complesso, le strutture alle quali è demandato il compito di
garantire la continuità assistenziale secondo le valutazioni Þnora
effettuate, sono le seguenti:
5.835 posti letto ospedalieri di degenza ordinaria;
1.165 posti letto equivalenti di day hospital;
1.050 posti presso il domicilio del malato, gestiti dagli ospedali;
525 posti presso il domicilio del malato, gestiti dal volontariato;
525 posti presso residenze collettive o case alloggio, gestiti dal volontariato
ed altre organizzazioni assistenziali.
Lindagine innanzi richiamata, effettuata dal "Centro per le attività
assistenziali per i pazienti affetti da HIV", ha permesso di evidenziare
che i ricoveri ospedalieri oggetto di rilevazione erano motivati da esigenze
assistenziali in circa l89% dei pazienti HIV positivi e nell82%
di quelli HIV negativi.
La richiesta di assistenza alle strutture di "day hospital" risulta
provenire per il 5% da pazienti HIV negativi, per circa il 56% da affetti
da AIDS e per circa il 40% da pazienti con infezione da HIV negli altri
stadi. Al contrario i pazienti trattati in regime ambulatoriale sono per
circa il 20% HIV negativi, per il 35% affetti da AIDS mentre per circa il
45% si tratta di pazienti sieropositivi negli altri stadi.
In sintesi le strutture di "day hospital" sono quasi completamente
saturate da pazienti HIV positivi, mentre gli ambulatori permettono in prevalenza
di garantire lassistenza ai malati con malattie infettive classiche.
Tuttavia, alla Þne del 1992, sempre secondo lindagine citata,
le strutture di "day hospital" risultano formalmente attivate
solo nel 32% degli ospedali; nel 13,3% dei casi non sono state attivate
e nel restante 54% sono state attivate di fatto e non formalmente.
Le strutture di "day hospital" dispongono di stanze separate rispetto
a quelle destinate alla degenza solo nel 39,1% dei casi.
Il trattamento a domicilio.
Alla Þne del 1992 su 2100 posti per i trattamenti a domicilio previsti
dalla legge n. 135 del 1990, ne risultavano attivati solo 219 presso il
domicilio del paziente e 214 in residenze collettive, pari al 20,6% di quelli
previsti. Le regioni preannunciavano, peraltro, la programmata attivazione
di altri 920 posti presso il domicilio del paziente e 151 presso residenze
collettive. Nel complesso si prevedeva che nel 1993 vi sarebbe stata la
disponibilità di 1.389 posti pari al 66% di quelli indicati dalla
legge.
Quello del trattamento a domicilio rimane, quindi, uno dei settori nei quali
continuano a registrarsi difÞcoltà e ritardi nella realizzazione
degli interventi previsti dalla legge. Tra i fattori di difÞcoltà
viene segnalata dalle regioni la inadeguatezza delle risorse disponibili,
sia con riferimento ai costi assistenziali per i casi non infrequenti di
soggetti non autosufÞcienti, sia tenendo conto dellimpegno operativo
delle strutture ospedaliere cui è demandata lattività
diretta di assistenza in una parte rilevante dei casi. Altro elemento di
difÞcoltà è quello determinato dalla incertezza circa
la politica futura sui trattamenti domiciliari.
È pertanto necessaria una attenta rideterminazione del programma
generale di interventi per il trattamento a domicilio in rapporto alle pressanti
esigenze assistenziali che si sono venute a determinare, a motivo del ritardo
nella realizzazione del programma di adeguamento delle strutture di ricovero,
ma anche e soprattutto per laffermarsi di un nuovo modello assistenziale
che considera fondamentale lassistenza a livello domiciliare con lappoggio
e la guida centrale degli ospedali, per assicurare alle persone con AIDS
una condizione di vita quanto più possibile vicino alla normalità.
In conseguenza i posti di trattamento domiciliare dovrebbero essere incrementati
nelle regioni che hanno un maggior numero di persone con AIDS da assistere.
A tal Þne potrebbe essere destinata la quota di minor spesa di ammortamento
che si viene a determinare con lipotizzato contenimento del numero
dei posti letto da costruire e ristrutturare (900 posti).
Alle strutture ospedaliere deve essere demandato anche il compito di veriÞcare
la qualità dellassistenza fornita dalle organizzazioni di volontariato.
Tra i problemi ancora non completamente portati a soluzione vi è
quello relativo alla difÞcoltà di far attuare agli infermieri,
fuori dallambito ospedaliero, le terapie endovenose ed infusionali
e altre procedure assistenziali, in assenza del medico.
In considerazione delle particolari necessità che si presentano nelle
aree metropolitane si ritiene opportuno che le regioni provvedano, se lo
ritengono utile, ad identiÞcare appositi servizi per i trattamenti
a domicilio ai quali demandare sia le funzioni di coordinamento delle attività
dei medici ed infermieri che quelle di veriÞca dellammissione
dei pazienti al trattamento, nonché il controllo sullattività
del volontariato coinvolto nellassistenza, oltre che la gestione dei
þussi informativi.
Il decentramento coordinato.
La diffusione dellinfezione nella popolazione, la richiesta di
informazione e formazione da parte di soggetti a rischio di infezione, lanticipazione
del momento in cui viene formulata la diagnosi di AIDS rispetto alloriginaria
deÞnizione di caso, il cambiamento degli indirizzi clinici e terapeutici,
con il conseguente aumento dei casi sottoposti a trattamenti antivirali
o a pratiche di proÞlassi primaria e secondaria, rendono impossibile
continuare a gestire lintera problematica con un modello che faccia
prevalente riferimento agli ospedali e in particolare, ai reparti di malattie
infettive.
Al contrario, sul modello di quanto è avvenuto in altri Paesi, sembra
utile che da un lato si attivi un maggiore coinvolgimento delle strutture
cliniche di altre specialità che hanno un ruolo rilevante nella gestione
dei soggetti con infezione da HIV e, dallaltro si promuova unapertura
dei centri clinici di II e III livello, ferma restando la loro funzione
centrale nel coordinamento, verso la comunità esterna.
È necessario, infatti, realizzare una gestione della problematica
AIDS che utilizzi anche lapporto dei medici e pediatri di base (ed
è per questo che per essi sono stati svolti e verranno svolti appositi
corsi di formazione) nonché quello delle varie strutture appartenenti
al primo livello, nellambito del sistema di collaborazione deÞnito
nellatto di intesa Stato-regioni del 7 novembre 1991. È essenziale
che le strutture infettivologiche e quelle delle altre specialità
che sono maggiormente impegnate, secondo i piani regionali, nellassistenza
ai malati di AIDS, si aprano verso i servizi e le strutture di I e II livello,
sia intra che extraospedalieri, secondo un decentramento che dovrà
essere formalmente coordinato e regolamentato nella linea della organizzazione
dipartimentale. In tal modo sarà consentito ai pazienti di fruire
dei servizi assistenziali a seconda dei bisogni del momento e di condurre
così una vita quanto più possibile normale; al tempo stesso
potranno essere contenute le esigenze di degenza ospedaliera ordinaria,
mentre assumeranno un ruolo determinante le prestazioni ospedaliere a ciclo
diurno e quelle ambulatoriali.
La protezione dal contagio da HIV per gli operatori ed i pazienti
La trasmissione dellHIV in ambito sanitario può avvenire attraverso
le seguenti modalità:
1) trasfusione di sangue o emoderivati infetti;
2) trapianto di organi, midollo e altri tessuti o inseminazione artiÞciale
da soggetti infetti;
3) lutilizzo di presidi ed apparecchiature contaminate;
4) da paziente infetto ad operatore a seguito di esposizioni accidentali
durante lattività lavorativa;
5) da operatore infetto al paziente durante lesecuzione di procedure
invasive. In Italia sono state adottate, a partire dal 1985, misure per
la prevenzione della trasmissione dellinfezione attraverso la trasfusione
di sangue, linfusione di emoderivati, il trapianto di organi e tessuti.
Tali misure hanno permesso di ridurre al minimo il rischio associato alle
pratiche anzi riportate. È necessario però continuare ad ampliare
i programmi di controllo di qualità della diagnosi di infezione da
HIV su sangue.
Il decreto ministeriale 28 settembre 1990 ha stabilito, in materia, norme
di comportamento per gli operatori sanitari al Þne di prevenire la
trasmissione dellinfezione e di contenere la circolazione del virus
in ambito assistenziale. Tuttavia, come si evince da indagini condotte,
non risulta che le precauzioni universali siano entrate nella routine assistenziale
di tutti gli ospedali.
Le raccomandazioni emanate nel 1990 necessitano, altresì, di una
revisione anche alla luce degli episodi, veriÞcatisi allestero,
di trasmissione dellinfezione da HIV da operatore infetto a paziente
ed a seguito di procedure diagnostiche.
Il volontariato
Il volontariato continua ad avere un ruolo rilevante nella prevenzione e
nella lotta contro lAIDS. È, perciò, necessario continuare
a sostenere la collaborazione da parte delle varie associazioni con particolare
riguardo a quelle che operano nei trattamenti a domicilio, nei gruppi di
auto-aiuto, nelle attività di prevenzione verso i tossicodipendenti
e nel mondo della scuola e del lavoro.
Occorre inoltre una speciÞca disciplina che, nel quadro delle normative
vigenti e di concerto con il Dipartimento degli affari sociali della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, consenta la piena utilizzazione dellopera
dei volontari in aiuto alle persone con infezione da HIV che si rivolgono
ai servizi ospedalieri.
Laggiornamento del personale
Laggiornamento del personale dei reparti di malattie infettive e degli
altri reparti assimilati, come anche del personale appartenente ad altre
strutture che si trovano a gestire procedure e materiali biologici nellambito
delle infezioni da HIV, è essenziale.
Tuttavia è necessario passare ad una fase in cui la formazione e
laggiornamento diventano parte centrale e determinante di speciÞci
progetti orientati al reale raggiungimento di obiettivi preÞssati,
modiÞcando opportunamente in tal senso la disciplina di cui allart.
1, lettera d), della legge 5 giugno 1990, n. 135.
Le attività di formazione centrale attraverso i piani di formazione
dellIstituto superiore di sanità andrebbero concentrate in
futuro sulla conduzione di corsi per formatori destinati ai medici di medicina
generale, ai pediatri di base, ad altre categorie sanitarie, agli operatori
del volontariato, oltre a corsi, sempre ad elevato contenuto tecnico-scientiÞco
ed organizzativo, diretti verso categorie delle quali si ravvisasse lesigenza
di una formazione o un aggiornamento speciÞco.
Andrebbe previsto che il personale delle strutture operanti nel Servizio
sanitario nazionale, e quello delle Università, possa partecipare
alle attività di formazione, sia in qualità di docente che
di discente, in posizione di comando o distacco. Andrebbero annoverate tra
le attività di formazione anche quelle svolte attraverso le borse
di studio annualmente messe a concorso dallIstituto superiore di sanità.
Il coordinamento delle attività
Il coordinamento delle attività è effettuato con lintervento
della Commissione nazionale per la lotta contro lAIDS la quale è
tenuta, ai sensi di quanto previsto dallart. 1 della legge n. 135,
a dare periodicamente, in relazione alle previsioni epidemiologiche, indicazioni
sulle esigenze assistenziali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti
fra lo Stato, le regioni, e le province autonome. È allo studio la
integrazione della predetta Commissione con rappresentanti delle regioni.
A livello locale è emersa la necessità di dare impulso alla
funzione di coordinamento delle attività di formazione, informazione,
prevenzione e veriÞca della qualità dellassistenza, nonché
di gestione dei þussi informativi, afÞdate, secondo i piani
regionali, ai centri di riferimento di cui allart. 9 della legge n.
135 del 1990.
La ricerca
La ricerca costituisce uno dei punti di massima rilevanza nella lotta contro
lAIDS. Lo sforzo messo in atto con il progetto di ricerca dellIstituto
superiore di sanità, grazie alladozione di precisi meccanismi
di selezione e di Þnanziamento, ha consentito ai ricercatori italiani
di conseguire importanti risultati, come testimonia il grande numero di
pubblicazioni prodotte.
Occorre, comunque, che vengano stabiliti criteri e parametri che consentano
di valutare la produttività della ricerca in termini di acquisizione
di signiÞcative conoscenze scientiÞche.
È, altresì, necessario che i programmi, di cui va garantita
la continuità, coprano anche gli aspetti di sanità pubblica
e di ricerca applicata sulle problematiche dellAIDS.
Da ultimo, ma non certo per limportanza, è da ricordare limperativo
di combattere la discriminazione e la stigmatizzazione delle persone infette
da HIV o con AIDS, come riafferma, nel citato recente documento, lOrganizzazione
mondiale della sanità e come già stabilito in modo puntuale,
nella legge n. 135 del 1990.