Introduzione


di Flavia Franzoni






In anni passati i gruppi di volontariato, le cooperative sociali variamente intese e le associazioni svolgevano un lavoro importante ma nascosto aiutando le persone in difŽcoltą, promuovendo momenti di collaborazione tra famiglie e soggetti che volevano cercare insieme una risposta ai propri bisogni, occupandosi di ambiente e di protezione civile, di cultura e di tempo libero per tutti.
In sintesi, si occupavano della comunitą.
Da qualche tempo, tutto questo ha acquistato una nuova visibilitą, interessa i giornali, la televisione, la politica. E viene “battezzato” in diversi modi: “terzo settore” tra stato e mercato; “settore non proŽt”, cioč un settore in cui i partecipanti non hanno una Žnalitą di lucro intesa come distribuzione di proŽtti; “economia sociale” in cui si sperimenta un nuovo modo di possedere i mezzi di produzione e di lavorare nell’ambito di una economia capitalista che cerca correttivi e nuovi valori.
Da cosa deriva questa nuova enfasi posta sul settore non proŽt?
Il settore non proŽt č visto come uno strumento essenziale per “salvare” l’impianto generale dello stato sociale (welfare state) nel nostro e negli altri paesi. Č anche visto come un ambito adesso cui si possono creare nuove opportunitą di lavoro.
Entrambe queste aspettative sono corrette, ma vanno analizzate per non cadere in “abbagli quantitativi”. Il settore non proŽt giocherą un ruolo importante per sostenere la rete di servizi sociali del nostro modello di welfare, creerą occupazione e sarą anche un’occasione per la promozione di imprenditoria giovanile. Non č perņ l’unica soluzione ai problemi del welfare e dell’occupazione.
Pur partendo da questa necessaria “cautela”, possiamo tuttavia guardare con ottimismo al non proŽt quale occasione di sperimentazione e di sviluppo.
Comuni e Aziende-USL si avvalgono sempre pił di cooperative sociali, associazioni e gruppi di volontariato per gestire servizi. A volte si tratta di collaborazioni complesse in cui solo una parte del servizio č afŽdata ad operatori del settore non proŽt, soprattutto nell’ambito dell’assistenza domiciliare. In altri casi, ai soggetti del non proŽt vengono date in gestione “chiavi in mano” case protette per anziani, centri diurni per anziani, malati psichiatrici, handicappati, appartamenti in cui vivono piccoli gruppi di utenti.
Se i servizi sono di grandi dimensioni, Comuni e USL bandiscono gare di appalto che mettono i vari soggetti del privato sociale, ma anche del privato mercantile, in concorrenza tra loro. Il problema č quello di trovare modalitą d’appalto che garantiscano di premiare la qualitą e non solo il prezzo.
Č chiaro tuttavia che entrare in un mercato cosģ deŽnito richiede ai diversi soggetti partecipanti una gestione ispirata a sicuri criteri manageriali.
Non č detto inoltre che il settore del non proŽt debba svilupparsi con questo stretto cordone ombelicale con gli Enti pubblici. Il rapporto pubblico-privato č spesso pił articolato. Basti ricordare il rapporto con il volontariato che puņ anche integrare le collaborazioni sopra descritte.
L’Ente pubblico puņ inoltre sostenere anche parzialmente iniziative maturate nella comunitą e gestite autonomamente da associazioni, fondazioni, ecc. Spesso si tratta di interventi che riguardano l’animazione, la socializzazione e il tempo libero.
Ancora da scoprire č la capacitą del settore non proŽt di offrire prestazioni direttamente sul mercato dei servizi (posti letto in case protette, assistenza domiciliare, ecc.) a chi č in grado di sostenerne le spese. Siffatte iniziative potrebbero servire per calmierare il mercato, evidenziando gli abusi e garantendo qualitą ed umanizzazione dei servizi.
In generale, lo sviluppo del terzo settore č visto come uno strumento per continuare a garantire i diritti sociali dei cittadini. In questo modello, la parte pubblica deve pił programmare, coordinare e controllare e meno gestire gli interventi concreti. Lo slogan č “pił governo e meno gestione” e i sociologi indicano questo nuovo assetto come “welfare-mix”.
Come si č detto, lo sviluppo del settore non proŽt č anche un’occasione per la creazione di nuovi posti di lavoro. Per cogliere in pieno questa potenzialitą dobbiamo superare l’idea che il settore abbia un solo cliente, l’Ente pubblico. Le scarse disponibilitą Žnanziarie di quest’ultimo diverrebbero ostacolo al complessivo sviluppo del settore non proŽt e a poco servirebbe, ai Žni dell’occupazione, la sostituzione di operatori pubblici con operatori privati.
Il libro bianco di J. Delors, “Crescita, competitivitą, occupazione. Le sŽde e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo” (Comunitą europea - 1993), aveva aperto una prospettiva pił ampia e pił ricca di contenuti, vedendo proprio nell’obiettivo del miglioramento della qualitą della vita (a partire dai servizi di assistenza alle persone, dalla cultura, dalla protezione ambientale, ecc.) l’occasione di nuova occupazione. Molti economisti stanno indicando il settore dei servizi alle persone, soprattutto relativamente all’”home care”, come un possibile bacino di nuovi posti di lavoro, perché i settori “forti” dell’economia, a causa del progresso tecnologico e della concorrenza globale, non creano pił occupazione.
Nell’ultimo periodo, particolare attenzione č stata posta allo sviluppo delle cooperative sociali. Ci sono “mille volti” del volontariato e “mille volti” delle cooperative sociali e dell’associazionismo.
La legislazione ha cercato di rappresentare una storia e una esperienza gią avviata, senza tuttavia riuscire a coglierne tutta la complessitą.
Le prime cooperative operanti nel settore dei servizi sociali sono nate e si sono sviluppate a partire dalla prima metą degli anni settanta. Molti autori hanno distinto tre tipologie di cooperative: quelle di servizi sociali, composte da operatori qualiŽcati dal punto di vista professionale, la cui attivitą consiste nel produrre servizi allo scopo di garantire primariamente il lavoro ai soci; le cooperative di solidarietą sociale, nate in molti casi dallo sviluppo di iniziative del volontariato che hanno trovato nella cooperazione una formula idonea per la propria organizzazione e per stabilire correttamente rapporti di collaborazione con gli Enti pubblici; le cooperative integrate che, operando nei diversi settori produttivi (artigianale, industriale, agricolo), sono Žnalizzate all’inserimento lavorativo di persone in difŽcoltą.
La recente normativa nazionale- la legge n. 381/1991 - ha scelto invece la pił generale deŽnizione di “cooperative sociali”, distinguendo, all’interno di questa deŽnizione, due tipologie: le cooperative di tipo A che si occupano della gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi e che possono comprendere soci volontari (raggruppando sostanzialmente le due tipologie precedenti di cooperative di servizi sociali e di solidarietą sociale) e le cooperative di tipo B che, attraverso lo svolgimento di attivitą diverse, sono Žnalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Neppure tutte queste tipologizzazioni riescono tuttavia a cogliere la ricchezza di esperienze che, in questi ultimi anni, si č andata sviluppando all’interno della cooperazione sociale.
Le cooperative di tipo A sono, ad esempio, diversissime tra di loro: grandissime, con forte spirito manageriale; pił piccole o grandi, ma con maggiori attenzioni anche a solidarietą esterne; con molti professionisti specializzati o nessuno, ecc. Esse si sono poi andate trasformando nel tempo sia come composizione dell’insieme dei soci sia come modalitą di rapportarsi all’Ente pubblico.
Oggi le cooperative stesse si pongono, in generale, di fronte all’Ente locale con un nuovo protagonismo e una nuova progettualitą. Esse propongono, ad esempio, “pacchetti” complessi di servizi domiciliari “integrati” sociali e sanitari, gestioni “chiavi in mano” di strutture diurne, case protette, ecc.
Alcune di queste cooperative hanno superato i dieci miliardi di fatturato e sono diventate delle vere e proprie aziende.
Le cooperative sociali di piccole dimensioni, soprattutto quelle nate da esperienze di volontariato cattolico, ancora fortemente connotate dal sistema di valori dei movimenti da cui hanno avuto origine e pił lontane da una cultura manageriale, tendono a loro volta a consorziarsi. In tal modo, si creano cooperative di secondo livello capaci di essere, in nome e per conto delle loro associate, interlocutori di efŽcaci nei confronti dell’Ente pubblico. Esse offrono alle associate servizi a sostegno della competenza tecnica e delle capacitą manageriali, aumentandone complessivamente la competitivitą, grazie alle economie di scala.
Analoga complessitą esiste nel mondo dell’associazionismo, che č tuttavia in attesa dell’approvazione di una legge nazionale regolativa della materia.
Alcune associazioni sono esclusivamente orientate alla sensibilizzazione delle istituzioni e dell’opinione pubblica nei confronti di alcune istanze sociali e mirano a promuovere la tutela di alcune fasce di popolazione in difŽcoltą (handicappati, malati di mente, ecc.). Altre associazioni, riguardo a queste stesse tematiche, si propongono come gestori di interventi per conto dell’Ente locale e della USL con qualche difŽcoltą oggettiva a rendere compatibili le due funzioni di tutela dell’utente e di gestore di servizi di cui l’utente stesso usufruisce.
Un ambito nuovo per l’Italia č certamente quello delle fondazioni quali Enti, cosģ come li deŽnisce il richiesto codice civile, dotati di personalitą giuridica e che consistono in un patrimonio devoluto a un Žne speciŽco Žssato dallo Statuto.
Un aspetto particolare č costituito dal ruolo delle Fondazioni bancarie legate alle Casse di risparmio e ai Monti. La legge n. 266/91 sul volontariato ha, infatti, previsto che esse debbano provvedere, con una quota non inferiore a un quindicesimo dei propri proventi (art. 15), all’istituzione, tramite gli enti locali, di “centri di servizio” a disposizione delle organizzazioni di volontariato e da queste gestiti con la funzione di sostenerne e qualiŽcarne l’attivitą.
Queste esperienze, partite tardivamente, sono tuttavia in corso di realizzazione in alcune regioni.
Una funzione un po’ diversa č svolta dal volontariato che puņ partecipare all’attivitą delle cooperative sociali, delle associazioni o delle Fondazioni e puņ costituire gruppi autonomi.
Anche il volontariato entra in campo con esperienze diverse: piccoli gruppi parrocchiali, organizzazioni di coordinamento di ampio raggio come la Caritas, la multiforme e sfaccettata realtą laica, gruppi di livello nazionale come il volontariato legato alla Croce Rossa, gruppi legati a speciŽche emergenze quali l’handicap, la droga, la malattia mentale, l’Aids, che contribuiscono pił di altri a mantenere vivo uno scambio culturale con i servizi pubblici.
Questo, in rapida sintesi, il quadro generale della complessa realtą riguardante il terzo settore.
Per concludere, qualche considerazione sulla presente guida al volontariato e al non proŽt. La pubblicazione predisposta dall’Amministrazione Provinciale di Foggia rappresenta un signiŽcativo contributo e un utile strumento di lavoro per lo sviluppo del privato sociale in Capitanata e per l’attivazione di quello sportello del non proŽt proposto dal locale Movimento per l’Ulivo. Uno sportello destinato a essere il terminale di un ufŽcio operativo provinciale in grado di fornire consulenza ed assistenza ai giovani dauni e a quanti vorranno avviare iniziative ed attivitą lavorative con Žnalitą sociali, nei settori dei servizi alle persone, per la tutela dell’ambiente e per la valorizzazione e fruizione dei beni culturali
In tale prospettiva, la guida vuole aiutare e conoscere meglio gli ambiti possibili di sperimentazione, attraverso le schede relative alla legislazione sia in materia di non proŽt che per i singoli settori dell’assistenza sociale, della sanitą, della protezione civile, della cultura, ecc. Essa vuole, inoltre, fornire utili strumenti operativi (statuti di cooperative, schemi di convenzioni, ecc.) per la concreta realizzazione di esperienze non proŽt sul territorio provinciale.
Si tratta, insomma, di un supporto indispensabile per incoraggiare e far crescere l’economia sociale in Capitanata e per contribuire alla formazione di quelle risorse di imprenditorialitą di cui la provincia di Foggia ha urgente bisogno per avviare e consolidare un processo di sviluppo autonomo e autopropulsivo.