Intervento introduttivo del Presidente della Provincia di Foggia,

prof. Antonio Pellegrino

 

Professor De Rita, professor Fichera, autorità, colleghi amministratori, signore e signori,

vi ringrazio tutti della vostra partecipazione, e prometto di non abusare della vostra pazienza e della vostra attenzione. Il mio intervento, peraltro, non potrà limitarsi alla protocollare funzione di saluto, perché noi non vogliamo far finta che il rapporto sulla Capitanata fra identità territoriale e prospettive di sviluppo sia strumento tecnico e neutrale.

Noi abbiamo scelto la qualificazione e il rigore scientifico del Censis perché non volevamo risposte truccate: ci serviva un'analisi seria, capace di dare risposte serie agli interrogativi che l'Amministrazione Provinciale di Foggia ha posto. E risposte serie abbiamo avuto, con un prodotto che sarà certamente utilissimo anche per il suo valore tecnico, numerico, statistico.

Ma la domanda che noi abbiamo posto al Censis, l'esigenza che era alla base di quella domanda era ed è per intero politica. Come politiche restano le questioni che le risposte del Censis individuano ed evidenziano.

Naturalmente mi riferisco non alla politica delle fazioni o delle campagne elettorali, ma a quella politica che ha l'ambizione di concorrere a realizzare condizioni di vita e di futuro migliori.

Quando, quattro anni fa, gli elettori ci chiamarono a rappresentarli, a compiere a loro nome e per loro conto atti di governo e di decisione, la domanda era: qual è lo sviluppo possibile per la Capitanata? Più precisamente: c'è uno sviluppo possibile per la Capitanata? E quale?

La risposta non era scontata: la grande crisi degli anni Ottanta ha lasciato cumuli di macerie nel nostro territorio. Per la grande ritirata delle Partecipazioni Statali, certamente; ma anche perché l'effetto ricostruzione nelle aree irpine e lucane stornava investimenti che non eravamo in grado di attrarre; anche perché il grande ridisegno del settore agroalimentare metteva a nudo la scarsa competitività del nostro territorio; anche perché la Capitanata non aveva una chiara idea di sé stessa.

Una serie di modelli di sviluppo, come quello del progetto Capitanata, andavano rivisitati, corretti, superati. Come direbbe il Censis, era necessario passare dalla logica del contributo esogeno a quella del dinamismo endogeno. In altri termini, non si poteva più puntare tutte le proprie carte sulla rincorsa della spesa pubblica, esercizio in cui si era logorato un personale politico sempre meno influente ed autorevole lungo l'arco degli anni Ottanta, ma bisognava guardare altrove. Bisognava che fosse incentivato ed organizzato lo sforzo autonomo delle nostre realtà produttive e al tempo stesso cercare relazioni orizzontali, fra soggetti paritari, per dare più forza ed estensione ad un progetto comune.

Questo, non altro, è stato il discorso sulla macroregione, la ripresa di un'idea e di un'iniziativa che non sono nate con noi, che hanno un'antica e dignitosa storia in Capitanata. Non una illogica volontà secessionista, ma la percezione che le differenti partizioni amministrative, le diverse appartenenze provinciali e regionali potessero rappresentare un ostacolo, un impedimento a cogliere opportunità di cui il nostro ed altri territori hanno un grande bisogno.

In tutta sincerità, non credo che si possa dire che l'istituzione regionale abbia compiuto per intero il proprio dovere nei confronti della Capitanata. Non mi riferisco tanto a provvedimenti che non si prendono, a soldi che non arrivano, a funzioni che non vengono delegate; non mi riferisco cioè alle forti critiche che mi sento di formulare nei confronti della specifica azione di questo governo regionale e di quelli che lo hanno immediatamente preceduto. Mi riferisco alla pervicace abitudine dell'Ente Regione di considerare la Puglia come un territorio che a Nord ha il confine dell'Ofanto, fiume oltre il quale si stende quello che negli appartamenti viene chiamato "un disimpegno", una zona di attraversamento.

Vi assicuro, noi non siamo preda di alcun furore campanilista o antibarese. Che ci sia una prepotenza del capoluogo regionale, che le aree forti e sviluppate di una regione tendano a prevaricare quelle deboli è storia comune. Ma credo che da nessuna parte come in Puglia l'esclusione della Capitanata sia problema di abito mentale prima ancora che di interessi e di speculazioni. Gli esempi potrebbero essere centinaia, ma credo sia sufficiente parlare delle aree montane; un elemento costitutivo del "paesaggio" della Daunia di cui la Regione da quasi un trentennio non si accorge.

Se abbiamo provato, se stiamo provando a percorrere altre vie, è anche, in qualche modo, per legittima difesa. Non intendiamo alzare le barricate per la regione Dauno-Irpino-Sannitica e del Vulture, ma non abbiamo neanche nessuna voglia di immolarci sull'altare di una pugliesità di cui non avvertiamo il richiamo ideale.

A parte i toni ironici, noi non pensiamo di porre al primo posto dell'agenda delle cose da fare la costituzione di una nuova partizione amministrativa, della quale si potrà eventualmente parlare se progetti di riforma in senso federalista dello Stato dovessero rendere mobili un po' tutti i confini regionali.

Pensiamo che sia invece prioritario dare un diverso taglio, una diversa qualificazione al nostro essere luogo centrale di un vasto sistema territoriale. Non ci dispiace essere provincia-snodo, provincia-cerniera; si tratta di una vocazione antica, di cui questo stesso Palazzo è testimonianza. È un ruolo che noi non disprezziamo, e che anzi rivendichiamo fortemente come elemento costitutivo della nostra identità. Ma vogliamo esserlo in modo nuovo e più qualificato; vogliamo compiere il passaggio, per ricorrere ancora all'arsenale concettuale del Censis, da luogo passivo di attraversamento a distretto logistico. Non solo un luogo per il quale si passa, quindi, ma un luogo dove si concentrano attività di organizzazione, di smistamento e di coordinamento.

La Capitanata può fare tutto questo da sola? Noi crediamo di no. Certo, la forza del nostro territorio è rilevante: parliamo di 720mila ettari, con 700mila abitanti per la maggior parte concentrati in quel sistema urbano allargato che comprende Foggia, Manfredonia, Cerignola, Lucera e San Severo. Grandezze consistenti, ma insufficienti per pesare davvero, nell'età delle concentrazioni, specialmente nel rapporto con i meglio organizzati sistemi limitrofi confinanti dell'area abruzzese e dell'area barese.

Ma se riusciamo -e in questo "se" c'è la sfida aperta, quella alla quale abbiamo lavorato per quattro anni, e alla quale bisogna continuare a lavorare- se riusciamo a costruire un tessuto connettivo di relazioni con i poli industriali di Termoli e Melfi, con l'area di Campobasso, con il Beneventano, con parte dell'Avellinese, le cose cambiano.

Cambiano perché fra queste aree, che malgrado le differenze e le peculiarità hanno molte cose in comune, le relazioni, gli scambi, le iniziative comuni possono produrre quello che alla Capitanata manca: un sistema. Noi non pensiamo ad un sistema come ad un modello astratto da sovrapporre alla realtà; pensiamo alla capacità di sentirsi parte integrante di qualcosa di più vasto ed organizzato.

Quello che sta accadendo in questi ultimi mesi è indicativo di ciò che intendo dire: la Provincia di Foggia e le parti sociali hanno dato vita ad un Patto territoriale della Capitanata; ne abbiamo da poco sottoscritto un altro, specificamente dedicato all'Alto Tavoliere; nel Basso Tavoliere si sta lavorando secondo la logica dei distretti industriali; a Manfredonia si affiancano il Contratto d'Area e la Sovvenzione Globale di Manfredonia Sviluppo.

Lo sviluppo, senza con ciò voler sottovalutare altri tipi di progresso economico e di incremento del benessere di un territorio, è ancora fortemente incentrato su questo, sulle industrie, sulle aziende direttamente produttrici di beni. Il fatto che le industrie tornino dopo quasi due decenni è una gran bella notizia.

Ma, ora che siamo riusciti, e la gente sa a che prezzo, con quali sacrifici, a farle tornare, è importante coordinare, cucire, tenere insieme questi diversi nuclei industriali; collegarli tra loro, raccordarli a quanto già esiste. È questa che viene chiamata la dimensione territoriale dello sviluppo, il suo sovrastare l'ambito locale o localistico. La dimensione locale è quella delle tradizioni, delle abitudini, delle partizioni amministrative; e significa, detto in parole povere, che San Severo si fa i fatti di San Severo e Foggia i fatti di Foggia. La dimensione territoriale significa che Foggia fa molta attenzione a quello che fa San Severo perché lì può sorgere un'opportunità, una convenienza, lì può esserci un bisogno complementare, una possibile sinergia.

Questo sistema di cui parliamo trova la sua principale ragion d'essere nel trovarsi al centro di sistemi esistenti che a loro volta vanno collegati: dall'abbruzzo all'area barese al polo napoletano e salernitano.

Noi riteniamo che il giusto dimensionamento di questo sistema sia quello preso in esame dal Censis: un'area che comprende la Capitanata, la provincia di Campobasso e quella di Benevento, parte dell'Irpinia e l'area del Vulture. Non si tratta, come ascolteremo, di tracciare una riga con un compasso o di disegnare un frattale; ma nemmeno questi confini vanno presi come dato assoluto; possono essere ridotti o, preferibilmente, ampliati. L'importante è che rimangano fermi alcuni punti fondamentali.

Il primo di questi è che il coordinamento e l'armonizzazione dei diversi processi locali di sviluppo non significa che questi processi vanno fermati o rallentati, anzi! Il consolidamento ed il rafforzamento delle aree di sviluppo produttivo presenti in questo territorio è una condizione preliminare.

Il secondo è che quest'area così delineata deve avere un coordinato ed efficace sistema di connessioni materiali e immateriali. E quindi deve meglio collegare le infrastrutture esistenti (autostrada e Porto di Manfredonia) e completare l'intermodalità del trasporto. Questo vuol dire che questo territorio non ha voglia di un aeroporto per singolari capricci dei suoi abitanti, ma che ha bisogno di un aeroporto come tassello strategico dello sviluppo.

Da questo punto di vista permettetemi di dirvi che dobbiamo urgentemente rivedere l'intera questione della società di gestione per l'aeroporto "Gino Lisa". Ritengo che la strada intrapresa sia stata quella giusta, ma che non sia stata percorsa con la giusta celerità o con la giusta attenzione. Non dobbiamo per questo demordere o scoraggiarci; ma dobbiamo certamente, con rinnovata lena, insistere perché questa iniziativa abbia -è proprio il caso di dirlo- un colpo d'ala.

Il terzo requisito è senz'altro quello dell'orizzontalità. Noi non vogliamo proporre un centralismo dauno accentratore e prevaricatore nei confronti dei nostri vicini; pensiamo ad un tessuto di relazioni paritarie, fra le quali annettiamo grande importanza a quello che possono disegnare le reti del sapere e della ricerca: le tre Università di questa pentapoli interprovinciale, il Biogem, gli altri centri di ricerca possono essere un importante testa d'ariete perché la collaborazione delle diverse aree di questo territorio diventi abitudine sistematica.

L'ultimo, ma non meno importante requisito è, a mio modo di vedere, il pieno coinvolgimento di tutte le categorie produttive: quelle dell'impresa, del lavoro dipendente, del lavoro autonomo. Mi è già capitato di dire che ritengo la filosofia della concertazione un passaggio obbligato per il rilancio del Mezzogiorno. E certo nessuna delle prospettive che si aprono per la Capitanata, nessuna di quelle speranze che un po' tutti avvertiamo avrebbe potuto verificarsi senza la grande disponibilità delle parti sociali.

Credo che questo modello vincente possa e debba essere applicato, al di fuori e al di là di ogni logica di schieramento.

Noi -e concludo- ci siamo sforzati di innalzare il livello di consapevolezza dell'identità di questo territorio. Quattro anni fa la Capitanata sembrava -avrebbe detto Metternich- un'espressione geografica. Oggi penso che le cose vadano meglio, che molti si sentano cittadini della Capitanata e orgogliosi di esserlo. Credo che da questa nuova consapevolezza si possa partire per cercare di allargare il nostro orizzonte, di guardare più in là.

Ho detto all'inizio che questa nostra proposta è pienamente politica, e si rivolge a tutti gli attori politici e istituzionali. Come proposta operativa, ma anche come terreno di discussione e di competizione. La ricerca del Censis sarà messa a disposizione di tutti, perché siamo convinti sostenitori del principio "conoscere per deliberare". È un lavoro egregio, per il quale ringrazio il Censis. Per la verità non ci aspettavamo di meno, conoscendo il professor De Rita ed i suoi collaboratori. Ma nessuno pensi di poterlo incartare e porlo su uno scaffale a impolverarsi. Noi intendiamo farne il punto di riferimento di un impegno al quale chiamiamo tutti: il pieno rilancio, la rinascita di questo territorio. Grazie.