UN PERCORSO ARTISTICO-MONUMENTALE

Foggia in mostra


L'itinerario che proponiamo non ha carattere cronologico, né è organizzato per tematiche. D'altronde sarebbe impossibile, data la stratifi-cazione negli stessi luoghi e sugli stessi manufatti di interventi tempo-ralmente e stilisticamente distanti.

È un itinerario che riveste il carattere della praticità, consentendo di vedere nel più breve tempo possibile la maggior parte delle emergenze artistiche e monumentali della città, ancora cospicue nonostante terremoti, bombardamenti e speculazione edilizia.


Consigliamo di iniziare da via Arpi, l'asse portante di tutto il centro storico. Ma non da Porta Grande, l'unica porta d'accesso alla città rimasta a testimoniare la cinta muraria fatta distruggere da Federico II nel maggio del 1230. Il nostro cammino ha inizio dalla parte opposta, da ponente.

Lasciata via Fuiani ed entrati in via Arpi, immediatamente due chiese affrontate con annessi corpi di fabbrica (ex conventi) si aprono alla vista.

* A destra è la chiesa di Sant'Agostino, originariamente dedicata a S. Leonardo.

La fondazione della chiesa e del convento risalgono probabilmente alla prima metà del XII secolo. La facciata, così come oggi la vediamo, risale invece al 1714. Un barocco sobrio ed elegante, con portale (dal tipico arco interrotto) su due colonne di pietra garganica; nei due riquadri ai lati del portale, lo stemma (l'aquila bicipite) di Carlo d'Asburgo imperatore e quello dell'agostiniano Adeodato Summantico, dal 1717 vescovo di San Severo. Nelle nicchie ai lati del finestrone le statue di S. Leonardo e S. Nicola da Tolentino. In alto, la statua di Sant'Agostino. L'interno, monoaulato con cappellina laterale, non presenta motivi di particolare interesse, se non l'altare marmoreo dedicato alla Madonna del Rosario e qualche antica lapide. Chiedendo ai responsabili della Congrega di Santa Monica è possibile visitare la cripta. L'annesso convento, che faceva parte della provincia agostiniana di Puglia, dopo le soppressioni murattiane e unitarie fu adibito a caserma di gendarmeria; poi fu Orfanotrofio e Ospedale di Maternità. Con lo spostamento di quest'ultimo nel grande complesso di via Napoli, se ne attende il restauro e un uso più consono alla sua storia.

 

* A sinistra vi è la chiesa di S. Giovanni di Dio, attualmente chiusa perché in attesa di restauri.

La ruota dentata circondata da due palme, inserita al di sopra del portale, ci fa intendere che in realtà questa chiesa era dedicata a Santa Caterina. È stata ricostruita in chiave barocca nel 1748. L'interno, ad unica navata, presenta pregevoli tele da alcuni attribuite al "foggiano" - così si firmava - Vincenzo De Mita (1751? - 1828), allievo di Francesco De Mura, da altri a Nicola Menzele. La chiesa è attaccata all'ex convento-ospedale dei Fatebenefratelli, che esercitarono a Foggia l'apostolato caritativo verso gli infermi per circa tre secoli. Attualmente il complesso ospita alcuni reparti degli Ospedali Riuniti.

I due complessi appena visti testimoniano l'importanza della committenza religiosa e delle confraternite per tutto il XVIII secolo, con rivisitazioni originali, come vedremo anche per le altre chiese, delle tematiche costruttive barocche diffuse dalle grandi capitali. Napoli anzitutto.

Proseguendo per via Arpi incontriamo, sulla destra, al civico 103, il palazzo Belvedere (v. pag. 42), raffigurato anche in alcune antiche incisioni, notevole esempio di edificio a corte di cui si hanno notizie a partire dalla prima metà del XVI sec. Sulla sinistra, al civico 152, vi è il palazzo che ha ospitato, dalla seconda metà del XVIII sec. al 1937, i Monti uniti di credito su pegno, un'istituzione importante nella storia della città.

* Subito dopo, all'angolo di via Ricciardi, a sinistra, è ubicata la chiesa di S. Tommaso.

La tradizione vuole che qui sia stata portata l'antica icona della Madonna dei Sette Veli dopo il ritrovamento ad opera di alcuni pastori. L'attuale facciata della chiesa, inflessa, è prospiciente quello che per alcuni studiosi è il "decumano" della città normanna. Un tempo la chiesa era rivolta su via Arpi. Ricostruita dopo il terremoto del 1731, ha subìto incendi e danneggiamenti bellici. L'interno non presenta grosse particolarità. Vi si conservano due statue lignee attribuite al Colombo (San Biagio e l'Immacolata) e dipinti del pittore foggiano Nicola Montagano, tra cui, sull'altare maggiore, L'incredulità di San Tommaso, commissionato dal Comune nel 1845.

* Riprendendo il cammino su via Arpi, dopo qualche decina di metri, in uno spiazzo sulla destra, leggermente in salita, si erge la chiesa di Santa Chiara, chiusa al culto dal 1932.

La chiesa e l'annesso monastero furono fondati dopo il 1500. Inghiottiti da "orribile voragine fra le luttuose rovine della Puglia il 20 marzo del 1731", furono immediatamente ricostruiti nelle forme che vediamo: nello stesso anno il monastero, nel 1742 la chiesa. La facciata, attaccata al monastero, si sviluppa molto in altezza. Lo slancio è dato dalla introflessione delle ali laterali, dai due finestroni sovrapposti, di cui quello inferiore, con fastigio sagomato, spezza la linea orizzontale del marcapiano, e dalle alte paraste binate che stringono portale e finestroni. La chiesa, come molte altre della stessa epoca che incontreremo, è a pianta ovale, con cupola caratterizzata, all'esterno, da motivi a pinnacoli. L'interno è ormai completamente spoglio. La preziosa tela che ornava l'altare maggiore, una Santa Chiara della scuola del Solimena, si può ammirare nel Museo civico. Il monastero, da cui le monache furono espulse nel 1866, fu adibito per un certo periodo a Municipio (1898). Dal 1954 è sede del Circolo didattico Santa Chiara (Scuole elementari). Interessante il chiostro, con sopraelevazioni neoclassiche su strutture settecentesche.

Lasciando piazza Santa Chiara e proseguendo per via Arpi, si costeggia a destra il restaurato palazzo Ricciardi dalla bella facciata ornata nella fascia superiore da tondi con busti scultorei.

* Di fronte a palazzo Ricciardi, possiamo avere una visione sorprendente e suggestiva: dal fornice di un arco ci invita la splendida facciata barocca della chiesa dell'Addolorata.

Fatta costruire tra il 1739 e il 1742 dalla Confraternita intitolata ai Sette dolori della Beata Vergine Maria, fondata da Mons. Emilio Cavalieri, vescovo di Troia e zio materno di Sant'Alfonso de' Liguori, la chiesa dell'Addolorata ha una facciata originale e armoniosa, con andamento ondulato. Molto bello l'ornato della cornice che circonda il finestrone mistilineo. L'originalità dell'impianto, il sorprendente raccordo delle volute laterali dell'altana col tamburo del tetto e l'effetto scenografico complessivo, fanno ritenere che l'opera sia di un artista di sicuro valore, da individuare, secondo alcuni studiosi, nella cerchia di Domenico Antonio Vaccaro. L'interno, di forma ellissoidale, ripete uno dei motivi ricorrenti dell'architettura religiosa barocca, la conciliazione tra pianta centrale e assetto longitudinale. Da questa chiesa il Venerdì Santo la statua della Madonna Addolorata esce per accompagnare l'urna del Cristo Morto, lo "Scarabattolo". La chiesa, abbellita con decorazioni nel 1871, conserva alcune pregevoli tele, tra cui, sull'altare a sinistra, La Sacra Famiglia intenta al lavoro, firmata da Francesco De Mura, (ma da alcuni attribuita al suo allievo Vincenzo De Mita, che firma invece nel 1805 il grande dipinto sulla cantoria, Cristo morto trasportato al sepolcro). Sull'altare di destra, una tela di scuola napoletana dell'inizio del XIX sec., S. Filippo Benizi in atto di guarire un infermo. L'altare maggiore, proveniente dalla Chiesa di S. Secondino di Troia, spicca per stile e pregevolezza degli intarsi.

Dopo l'approccio alle problematiche dell'architettura religiosa del '700, concedetevi un piccola pausa. Uscendo dalla chiesa, inoltratevi a sinistra tra le bancarelle di frutta e verdure del Mercato Arpi, il primo mercato coperto della città, costruito (v. pag. 46) in un ampio spazio rettangolare definito da antichi palazzi con portali che aprono in ampie corti. Inebriati soprattutto dagli odori pungenti delle tante erbe che impreziosiscono la cucina locale (v. pag. 54) incamminatevi per vico Peschi, tra il via vai degli acquirenti e gli inviti dei venditori.

* Siete di nuovo in via Arpi, ma di fronte a voi avete ormai la "chiesa madre", la splendida Cattedrale la cui storia si confonde con quella della città.

Dopo il suggestivo sguardo d'assieme, calatevi nei particolari. Nella Cattedrale di Foggia, stratificate con felice sintesi, troverete numerose espressioni della cultura artistica, dal romanico al gotico al barocco al neoclassico. La costruzione si deve a Guglielmo il Buono, che nel 1179 (o 1172) fece ampliare la primitiva chiesa di Santa Maria fatta costruire da Roberto il Guiscardo, duca di Puglia, per custodire e venerare la sacra immagine della Madonna dei Sette Veli. Attualmente la chiesa si presenta a pianta basilicale, con transetto e cupola all'incrocio dei bracci, sopraelevata su una cripta con lo stesso assetto. Di questa, però, solo la parte sottostante il transetto ("il Succorpo") risale all'età medievale. Il corpo longitudinale, della cripta, a tre navate, risale invece alla fine del '600, quando si portò il pavimento della chiesa superiore al livello del transetto.

Torniamo alla facciata. La parte inferiore della costruzione, delimitata dal bellissimo zooforo marcapiano, è tutto ciò che Foggia conserva (insieme al portale del Palazzo di Federico II e a pochi altri elementi scultorei), della produzione di quella grande scuola di architetti-scultori di respiro europeo (nel cui ambito si formò anche Nicola Pisano) che fino a tutta la metà del Duecento fecero di Foggia un centro irradiatore per tutto il Regno Meridionale di moduli stilistici altamente innovativi. Simile ad altre chiese romaniche della Capitanata, presenta le caratteristiche arcatelle poggianti su lesene con alti capitelli. Rispetto al modello della cattedrale di Troia, quella foggiana ha una ornamentazione più ricca. Negli spazi delle due arcate che affiancano il portale ricorrono motivi pisani, quali le bifore cieche, con davanzale sporgente. Ma ciò che più intriga è il cornicione fortemente aggettante, che dilaga in parte anche sulle pareti laterali. Dagli studiosi - salvo qualche recente eccezione - è attribuito a Bartolomeo da Foggia, il protomagistro che nel 1223 attese alla costruzione del Palazzo di Federico II. Qui i repertori simbolici romanici (aquile, chimere, leoni, figure umane che lottano con mostri), sono rivisitati in una nuova chiave, protogotica, con forti accenti chiaroscurali e con una vistosa autonomia dell'apparato scultoreo rispetto allo spazio architettonico.

Altri elementi scultorei medievali, databili alla prima metà del XIII secolo, si ritrovano sul portale detto di San Martino (parete laterale a sinistra di chi guarda la facciata), venuto alla luce dopo alcuni lavori di restauro. All'interno di un arco a sesto acuto abbiamo, dall'alto, le seguenti sculture: Cristo in trono tra due serafini, Sansone in lotta con il leone, un Cavallo al galoppo con cavaliere con mantello spiegato, un Vescovo o Profeta. Più in basso, nella lunetta, la Madonna con Bambino tra gli Arcangeli.

(Il quadro di riferimento della scultura medievale potrete chiuderlo visitando la cripta. Qui nei quattro splendidi capitelli che sormontano altrettante colonne di mandorlato garganico, su cui poggia miracolosamente tutto il transetto, c'è la mano di un grande maestro, quel Nicola di Bartolomeo da Foggia autore dell'ambone del duomo di Ravello e del ritratto di Sigilgaita Rufolo che segnano lo spartiacque tra l'arte antica e la nascita dell'arte italiana. Sempre nella cripta, l'abside centrale presenta un pregevole dipinto a fresco, Cristo benedicente, del XIV sec.) .

La fascia centrale della facciata, rielaborata in chiave barocca dopo il terremoto del 1731, ma con il costante riferimento agli elementi medievali preesistenti, presenta l'interessante motivo dell'arcone a sesto acuto su colonne binate che ingloba il finestrone a conchiglia.

Quasi corpo a sé stante rispetto all'intera costruzione si presenta invece il campanile, innalzato nella seconda metà del '700. È una splendida sintesi di elementi rinascimentali, barocchi e neoclassici.

L'interno della Cattedrale, a unica, ampia navata (in antico erano tre), con due cappelle laterali, riflette l'impostazione barocca complessiva data al Tempio a partire dalla fine del XVII sec., ben prima, cioé del terremoto del 1731. Troviamo opere di alcuni dei più insigni artisti napoletani del '700. Di Francesco De Mura è il grande telero La moltiplicazione dei pani, firmato e datato 1771, collocato sulla controfacciata (in Episcopio si trova anche il bozzetto preparatorio). Sugli altari della navata, di rilievo, una di fronte all'altra, due statue lignee di Giacomo Colombo: l'Immacolata e il S. Giuseppe.

Nel transetto, da un lato (a sinistra rispetto all'ingresso), vi è l'altare detto della Pietà, con il dipinto firmato e datato 1741 da Paolo De Maio (1703-1784), allievo di Francesco Solimena, che ripete lo schema iconografico del compianto della Madonna sul Cristo morto. Sull'altare di fronte, dedicato ai santi Protettori della città, Guglielmo e Pellegrino, vi è una bella tela raffigurante S. Pellegrino morente sorretto dal padre, S. Guglielmo, recentemente attribuita a Giacinto Diano, seguace del De Mura. Nella cappellina a lato dell'epistola dell'altare maggiore, su un prezioso altare, tra due colonnine di marmo verde antico forse di età federiciana, è esposta alla pubblica venerazione il Sacro Tavolo di Santa Maria dell'Iconavetere, o Madonna dei Sette Veli, al cui rinvenimento, attorno all'anno Mille (secondo alcuni il 1062, secondo altri il 1073), si deve, se non l'origine, lo sviluppo della città di Foggia. Il Sacro Tavolo, tempera su legno di conifera, cm. 152x80, è ricoperto da una sopraveste ricamata con buca ovale in alto. Durante le processioni e le feste, viene ricoperto da una veste d'argento finemente cesellata. Come hanno evidenziato i restauri, si tratta certamente della più antica icona pugliese, un esempio molto raro di Vergine Kyriotissa (o Nicopeia, secondo altra lettura) in piedi, a figura intera, che regge il bambino con entrambe le mani. Il Sacro Tavolo è da secoli occultato alla vista dei fedeli e, fino al restauro del 1980, si riteneva che i veli celassero l'immagine di un'Assunta. Nella stessa cappellina vi è un S. Pietro pentito, che fonti di fine '600 attribuiscono a Giuseppe Ribera,"lo Spagnoletto", ma più probabilmente opera del suo allievo pugliese Francesco Fracanzano. L'altare maggiore, con gli splendidi angeli reggifiaccola, è opera dello scultore Giuseppe Sammartino, l'autore, cioé, del famoso Cristo Velato della cappella dei Di Sangro a Napoli. Nella cappella in cornu evangeli dell'altare maggiore vi è un grande crocifisso ligneo (Cristo morto) di anonimo intagliatore napoletano su cui il chierico milanese Pietro Frasa esercitò le sue doti di colorista (1711). Nella stessa cappella, la tomba dello stesso Frasa e un dipinto del XVII sec. raffigurante Sant'Anna e Maria bambina. Di rilievo, nel transetto, dal lato dell'altare della Pietà, un dipinto (XVII sec.) raffigurante Sant'Antonio di Padova, proveniente dall'antico convento di S. Francesco.

Da segnalare, ancora, le artistiche vetrate dei finestroni (anni Trenta di questo secolo), con rappresentazioni di episodi significativi della storia della città e, nella navata, alcuni monumenti funebri, con decorazioni scultoree, tra cui quello al maggiore Giovanni Basile, caduto nella lotta al brigantaggio, quello allo scienziato foggiano Giuseppe Rosati e quello al santo vescovo Fortunato Maria Farina.

 

DALLA CATTEDRALE A PIAZZA XX SETTEMBRE

 

Usciti dalla cattedrale tornate sui vostri passi: di fronte a voi potete ammirare palazzo de Maio (v. pag. 42), col bel loggiato di tipo rinascimentale fatto costruire alla fine del '600 dal sacerdote Giuseppe De Vita. La scritta sul cornicione "per vedere ed essere visto" è una vera e propria sintesi delle concezioni estetiche dell'epoca, dove la funzionalità degli edifici non doveva essere disgiunta dalla bellezza. La derivazione è sicuramente napoletana, ma denuncia l'alto livello del gusto della committenza locale. Sulla vostra sinistra il palazzo Brancia (v. pag. 42) restaurato dopo il 1731 dal barone Farina. A lungo confuso con palazzo d'Angiò, presenta una elegante decorazione d'angolo con conci modellati a colonna. Sulla destra il complesso del monastero delle clarisse dell'Annunziata (a fianco, chiusa al culto, quasi addossata al portale di San Martino, l'omonima chiesa, recentemente destinata a Museo diocesano). Le monache lo abitarono fino al 1861. Adibito a edificio scolastico, oggi ospita la scuola elementare "G. Pascoli".

Tornati su via Arpi, potete vedere quello che resta della facciata rinascimentale - su più antica costruzione - di palazzo Marzano (v. pag. 43). L'antico, bellissimo portale ha perduto ormai la sua funzione. L'androne è stato infatti trasformato in bottega. L'antica dimora gentilizia lascia intendere che le concezioni architettoniche rinascimentali non arrivarono con molto ritardo a Foggia. La derivazione è comunque napoletana: presenta, infatti, una grande somiglianza con il coevo palazzo Di Capua-Marigliano (ascritto al Mormando), in via S. Biagio dei librai a Napoli, che costituisce l'emblema del Rinascimento in terra di Napoli.

Riprendete a percorrere via Arpi: tra palazzi settecenteschi che sovrastano la stretta via (interessante palazzo Antonellis, con ingresso su via S. Giuseppe), animata da negozi, bar, gallerie d'arte, punti di ristoro, proseguite fino a piazza Federico II. Il pozzo fontana che vedete, sovrastato da colonne di travertino, arco e aquile imperiali è opera recente. Rientra nel quadro del complesso di opere pubbliche realizzate in epoca fascista (v. pag. 46). La fontana fu costruita su progetto dell'architetto Adolfo Marini, che tenne conto di motivi architettonici e scultorei locali di epoca sveva.

Di fronte a voi palazzo de Nisi (v. pag. 43) con facciata su corso Vittorio Emanuele, con ricche decorazioni scultoree sulla facciata e un bellissimo doccione d'angolo in forma di delfino che richiama alcune protomi della Cattedrale (il bove vomitante) a testimoniare la persistente influenza sulle maestranze locali del modello romanico-gotico della chiesa madre.

* A destra, con angolo su via Arpi, il grande complesso della Dogana Antica.

Qui aveva sede la Dogana della mena delle pecore, istituita nel 1447 da Alfonso I d'Aragona per disciplinare la transumanza delle greggi dall'Abruzzo al Tavoliere (v. pag. 58). Una istituzione che nel bene e nel male ha condizionato per secoli lo sviluppo economico e sociale della città. Vi teneva corte il doganiere, con giurisdizione civile e penale. Una delle cariche più ambite ed importanti del Regno. Il palazzo ospitò anche il Teatro di corte del Doganiere, almeno tra la fine del '600 e il 1731. Il sisma di quell'anno causò danni anche alla Dogana, la cui sede fu quindi spostata in un nuovo edificio "fuori porta Reale" (l'attuale Palazzo della Provincia, in piazza XX Settembre). L'edificio della Dogana antica fu acquistato, restaurato ed ampliato nella seconda metà del '700 dalle clarisse dell'Annunziata, che provvidero anche a creare dei passaggi tra il loro monastero e la Dogana antica.

E suggestivi "corridoi" su archi di collegamento sono visibili, subito dopo aver imboccato corso Vittorio Emanuele II, svoltando a destra per via Campanile (il toponimo indica che, fino al terremoto del 1731, il campanile, più volte ricostruito, insisteva su questo lato della cattedrale, a sinistra del transetto).

Tornate su corso Vittorio Emanuele II.

* Quasi al limite del centro antico, prima dell'espansione settecentesca dell'abitato extra moenia, sulla sinistra è la chiesa di S. Domenico, con annesso convento (oggi sede dell'Arcivescovado) già appartenuto ai PP. Domenicani.

La presenza a Foggia di questo importante ordine monastico risale alla seconda metà del XIII secolo. I frati predicatori abbandonarono la città nel 1808, per i noti editti murattiani, e non vi fecero più ritorno nemmeno al mutare degli eventi. La facciata della chiesa, concava, con gradinata, incompleta nella parte superiore, richiama la struttura ellittica che costituisce uno dei motivi ricorrenti di molte chiese foggiane costruite nel '700 e una delle linee di ricerca spaziale dell'architettura barocca. Anche la chiesa di S. Domenico fu infatti ricostruita in forme barocche dopo il terremoto del 1731, certamente dopo il 1742. L'opera di costruzione dovette durare a lungo se ancora agli inizi dell'Ottocento la decorazione interna era pressoché inesistente, essendo "rimasta rustica e bisognosa di stucchi". Imponente e tecnicamente ardita la cupola. Le pareti del presbiterio e i riquadri della navata sono stati dipinti a fresco dall'artista foggiano Antonio La Piccirella tra il 1898 e il 1899. L'altare maggiore, della metà del '700, proviene da altra chiesa foggiana chiusa al culto. Vi si conservano alcune pregevoli sculture lignee (il Crocifisso, S. Gioacchino). La chiesa fu interessata anche dalle vicende politiche risorgimentali: il 18 aprile 1848 confluirono in S. Domenico circa ottocento cittadini per eleggere la propria rappresentanza alla Camera dei Deputati che, secondo la Costituzione concessa da Ferdinando II dopo i moti di Sicilia e Calabria, avrebbe dovuto affiancare la Camera dei Pari.

Usciti da S. Domenico, dimenticate per un momento l'annesso convento. Se seguite l'itinerario, lo ritroverete più avanti. Prendete invece la stretta via che sta di fronte alla chiesa. È via Cimaglia. A sinistra è palazzo Cimaglia (v. pag. 39), dalle semplici e armoniose ornamentazioni, costruito nella prima metà del '600. Rimane solo l'involucro esterno. La struttura interna è stata infatti interamente rifatta.

Via Cimaglia sbocca in piazza del Lago, dove la tradizione vuole sia stato ritrovato il Sacro Tavolo dell'Iconavetere. L'artistica fontana delle tre fiammelle che l'orna è opera dell'architetto Pietro Lombardi. Fu inaugurata il 28 ottobre 1928. Su piazza del Lago, al n. 2, si affaccia palazzo Saggese (v. pag. 40) una costruzione il cui impianto originario risale alla prima metà del '600 (il piano superiore è invece di epoca recente). Attaccato a Palazzo Saggese, con ingresso al civico 22 di via Bruno, vi è un'altra dimora gentilizia, in tutto simile alla prima, costruita dopo il terremoto del 1731. Si tratta di palazzo Bruno (v. pag. 40), edificato dal barone Luca Bruno. Le due costruzioni, molto ampie, non presentano comunque particolarità stilistiche.

Da piazza del Lago avete ora a sinistra, su via Duomo, lo scorcio della neoclassica chiesa di S. Francesco Saverio e a destra, ancora, una suggestiva prospettiva dominata dall'imponente campanile della Cattedrale con sullo sfondo il loggiato di palazzo de Maio. Incamminatevi verso la Cattedrale. Sulla vostra sinistra, quasi di fronte all'ingresso del Succorpo, vi è via Le Maestre (in qualche antico atto Via Maestra). Percorretela: a dispetto del degrado attuale, un tempo era una delle strade più importanti della città, per le numerose dimore gentilizie (v. pag. 40) costruite tra il '600 e il '700 da commercianti, proprietari fondiari, sacerdoti, notai: palazzo D'Aponte, palazzo della Posta dalle belle mensole sagomate dei balconi e l'interessante cortile interno, palazzo De Benedictis (alias Mongelli-De Paola), con ingresso su piazza Martiri Triestini... Quest'ultimo merita un'annotazione, per la sobrietà stilistica dell'esterno rispetto alle concezioni architettoniche in voga e per l'utilizzazione di motivi ornamentali e costruttivi tipicamente pugliesi.

Riprendete il cammino su via Le Maestre. Alla vostra sinistra il massiccio torrione quadrato del Municipio, quest'ultimo sorto in epoca fascista sull'area di uno dei più antichi quartieri della città, quello di Sant'Angelo (dall'omonima chiesa).

La prima costruzione che incontrate sulla vostra sinistra è palazzo Caponegro, alias Celentano (v. pag. 41). Peccato che il portone sia murato. L'interno dell'androne racchiude una poetica e virtuosa scenografia per l'accesso al piano superiore. La struttura originaria dell'edificio risale al XVI sec., con evidenti rifacimenti nel sec. XVII.

Dopo lo stretto vicoletto (chiuso) che porta all'arco di S. Michele (la statua è visibile dal lato che dà sul Municipio), vi è palazzo Celentano. Poco più oltre palazzo de Carolis (v. pag. 41), dai grandi balconi tipicamente pugliesi. L'antico ingresso era su via Nunziata Sulmona, su cui era uno degli ingressi di palazzo Accinni-Trifiletti (v. pag. 41). Sempre su via Le Maestre, e sempre a sinistra, al civico 73, palazzo Tortorelli, costruito sul luogo detto Capo la Città nel XVII sec., ma restaurato dopo il terremoto del 1731.

Siete ormai al punto di partenza, alle spalle della chiesa di Sant'Agostino. Avete in pratica percorso quasi tutta l'area della città prima dell'espansione edilizia del XVIII sec. Ma l'itinerario non è finito: proseguite per via Calvello, una sorta di prolungamento di via Le Maestre, girate a sinistra per via Terravecchia (il toponimo indica una delle zone più antiche della città) e scendete per la scalinata che incontrate: siete in via Fuiani. Il dislivello (di "passaggi al piano" con gradinata ce ne sono molti, lungo il perimetro del centro storico) segna il confine tra il centro abitato e l'antico fossato che difendeva la città.

Rimanendo sullo stesso marciapiede, imboccate a sinistra corso Garibaldi. State facendo in pratica il giro esterno del centro storico. Il primo palazzo sulla vostra sinistra è l'Istituto Suore Marcelline, con ingresso abbellito da un protiro (v. pag. 45).

Poco più avanti, sempre a sinistra, se l'incuria e l'abbandono non avranno prevalso, potrete osservare dall'androne di palazzo Accinni-Trifiletti (v. pag. 41)uno degli scaloni più scenografici delle dimore gentilizie foggiane del XVIII sec.: "la più antica applicazione di arco policentrico per la più luminosa soluzione di uno scalone" (U. Jarussi), secondo i motivi inventati ed applicati soprattutto a Napoli dall'architetto Ferdinando Sanfelice (1675-1748). Una soluzione resa necessaria anche dal doppio livello della costruzione: l'ingresso su via Nunziata Sulmona, infatti, corrispondeva al primo piano di corso Garibaldi.

Subito dopo, piazza de Carolis, su cui dà l'omonimo palazzo già visto dal lato di via Le Maestre e via Nunziata Sulmona. (All'angolo destro un altro "passaggio al piano" collega con una piccola scalinata la piazza con via Le Maestre).

Dopo piazza de Carolis, sempre a sinistra, merita una segnalazione il palazzo Siniscalchi-Ceci, al civico 72, sede dei Monti Uniti di Credito su pegno. È dei primi dell'Ottocento. La facciata è austera. Gli unici elementi decorativi riguardano i balconi, con frontoni a triangoli e a lunetta (quello centrale). L'interno, nonostante assolva oggi a funzioni di servizio, non è stato affatto trasformato. La copertura dello scalone al primo piano richiama la soluzione del vicino palazzo Accinni-Trifiletti. Nell'attuale sala del consiglio è conservata una grande pala d'altare, La Pietà, da alcuni attribuita a Massimo Stanzione (A. Petrucci), perfettamente identica a quella conservata nella chiesa di S. Pasquale. Uno dei soffitti del palazzo presenta una decorazione a gouache, Il Parnaso - Apollo tra le nove muse, opera di Domenico Caldara (Foggia 1814 - Napoli 1897), pittore di corte di Ferdinando II.

Di fronte a voi, sempre a sinistra, è l'imponente mole del Municipio (già Palazzo del Podestà), che segna una evidente discontinuità con l'ambiente architettonico del centro antico (v. pag. 45). Per realizzarlo, su progetto dell'architetto romano Armando Brasini (1879-1965), furono demoliti negli anni Trenta quasi tutto l'antico quartiere di Sant'Angelo e la chiesa del Salvatore, con annesso monastero delle Redentoriste.

Di fronte al Municipio, il Palazzo della Banca Nazionale (Banca d'Italia), oggi sede dell'Accademia di BB.AA. e del Comando dei Vigili Urbani. Inaugurato nel 1864, il palazzo si sviluppa orizzontalmente con piani costruiti su un alto basamento a bugnato. Lo spazio del lungo prospetto è scandito solo dai balconi, con frontoni a lunetta (1° piano) e a triangolo (2° piano).

Più avanti, sulla sinistra, un altro palazzone della "Grande Foggia", il Palazzo del Governo (v. pag. 46), costruito su progetto dell'architetto Cesare Bazzani (Roma, 1873-1939). L'edificio fu inaugurato nel 1934 da Mussolini.

Tra il Municipio e il Palazzo del Governo sullo sfondo, potete ancora ammirare la bella facciata di palazzo De Benedictis, riflettendo sull'evidente frattura ambientale.

DA PIAZZA XX SETTEMBRE A PIAZZA CAVOUR

 

Di fronte al Palazzo del Governo, corre una delle facciate di Palazzo Dogana, il cui ingresso principale è in piazza XX Settembre, che ora si apre sulla vostra destra. È una delle piazze meglio conservate della città. L'unica discontinuità è costituita dalla neoclassica facciata della chiesa di S. Francesco Saverio, proprio di fronte a voi, che però fa quasi scena a sé, non compromettendo l'insieme. Piazza XX Settembre (anticamente Largo Palazzo) costituisce il fulcro dell'espansione urbanistica della città tra Sette e Ottocento, come, qualche centinaio di metri più avanti, un'altra piazza, piazza Cavour, segnerà lo sviluppo della città tra fine Ottocento e prima metà del Novecento.

* Domina la piazza il Palazzo della Dogana, attualmente sede della Provincia.

Originariamente la costruzione doveva servire a "Collegio oppure casa di residenza" dei Padri Gesuiti. Ma ben presto i lavori furono interrotti, anche per la morte del maggior promotore dell'iniziativa, il vescovo di Troia mons. Cavalieri (1726). Erano stati tirati su soltanto i locali terranei e la chiesa (su Corso Garibaldi se ne intravvedono ancora le strutture), quando il terremoto del marzo 1731, danneggiando il vecchio Palazzo della Dogana, costrinse l'allora Presidente governatore marchese Ruoti ad acquistare dal vescovo di Troia mons. Faccolli l'appena iniziata costruzione. Il ripristino del vecchio palazzo, infatti, sarebbe costato più di una nuova costruzione. Furono quindi intensificati i lavori sull'ex seminario per dare una sistemazione idonea alla Dogana. Ma il nuovo Palazzo, su disegni degli ingegneri Giuseppe Delfino e Giustino Lombardi, era appena finito che già si rivelò insufficiente. Cominciarono così i lavori di ampliamento, con ripensamenti, aggiunte, demolizioni, ricostruzioni che a poco a poco modificarono l'originario progetto. Una fabbrica interminabile che costrinse il re ad inviare a Foggia (1755) Luigi Vanvitelli per esaminare anche l'eventualità di una nuova costruzione. Il Vanvitelli si limitò a dare suggerimenti per il completamento dei lavori, anche se alcuni vedono la sua impronta nello scalone d'onore. Il Palazzo venne occupato dagli Uffici doganali (con alloggi anche per gli alti Ufficiali) dal 1761 al 1806, data in cui venne finalmente a cessare l'istituto della transumanza. Da quel momento in poi, il palazzo divenne una sorta di "Albergo delle Istituzioni". È stato infatti sede dell'Amministrazione del Tavoliere, dell'Intendenza, delle Regie Poste, della Pubblica Sicurezza, della Tesoreria Provinciale, del deposito di sale e tabacchi, della Prefettura, della Questura, della Biblioteca provinciale, dell'Archivio di Stato, di scuole... L'Amministrazione provinciale è oggi rimasta l'unica ospite (con parte dell'Archivio di Stato) di un edificio ricco di storia, e sta cercando di ripristinarne gli ambienti più significativi che possano far intuire gli antichi splendori: il cortile grande con i porticati, lo scalone d'onore, il salone regio, il salone delle udienze del Governatore (oggi Sala del Consiglio Provinciale), la stanza della Ruota (oggi sala della Giunta)... All'esterno stilisticamente il palazzo non presenta elementi degni di nota, se non il portale d'ingresso. La facciata è infatti molto semplice nella parte inferiore, mentre la parte superiore è movimentata dai fregi dei balconi.

Proprio di fronte a Palazzo Dogana, su una quota leggermente più alta, palazzo Battipaglia (alias Galiani-Filiasi, v. pag. 44) attualmente sede dell'Archivio di Stato di Foggia. Il palazzo, realizzato tra il 1744 e il 1750, ha un bella facciata scandita da lesene, col portale impreziosito da bugne a punta di diamante e mascherone nella chiave di volta. L'alto livello stilistico e tecnico raggiunto nella costruzione è visibile soprattutto nell'interno, per gli archi e le volte rampanti su colonne ioniche dello scalone monumentale.

Sempre su piazza XX Settembre, all'angolo tra via Parisi e via Angiolillo, un altro edificio arricchisce la piazza con la sua elegante ed equilibrata facciata, palazzo Perrone (XVIII sec.).

* A sinistra di palazzo Perrone, la chiesa di S. Francesco Saverio.

Costruita nella seconda metà del Settecento, fu ristrutturata da Luigi Oberty nei primi decenni dell'Ottocento secondo la tipologia del Pantheon, così cara agli architetti tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Sei colonne ioniche sorreggono il porticato, con trabeazione e timpano. Sulla sinistra di chi guarda, la cella campanaria. L'interno, a croce greca e con abside allungata, molto luminoso, non presenta particolari ornamentazioni o opere d'arte.

La chiesa di S. Francesco Saverio, il propileo della Villa comunale, la chiesa della Madonna della Croce e l'Orfanotrofio Maria Cristina (questi ultimi due edifici abbattuti negli anni Trenta per far posto al Palazzo degli Uffici Statali), come anche - originariamente - il Teatro e Porta Arpana, con i loro bianchi ed austeri colonnati non rappresentavano semplicemente l'applicazione del rigido formulario neoclassico, ma costituivano una concezione nuova per l'attenzione alle esigenze della vita collettiva. Si spiegano così edifici pubblici come il Teatro o servizi pubblici come i giardini e la sensibilità al decoro non solo formale e scenografico della città.

Da piazza XX Settembre, prima di incamminarvi per corso Cairoli alla ricerca di ciò che resta della città ottocentesca e di qualche edificio religioso di una certa importanza, suggeriamo una piccola digressione a destra di palazzo Perrone. Percorso il breve tratto di via Angiolillo e poi via Francesco Crispi, ecco altre due chiese: la chiesa di Santa Maria del Carmelo e, più avanti, la chiesa di S. Pasquale Baylon.

La chiesa di Santa Maria del Carmelo, monoaulata, eretta dall'omonima congrega, poi arciconfraternita di muratori a partire dal XVII secolo, ha facciata e interno di chiara impostazione barocca.

* Più interessante la chiesa di S. Pasquale Baylon, costruita dai Padri Alcantarini tra il 1724 e il 1731, sotto la direzione di P. Felice della Croce.

La pianta della chiesa è a croce latina, ma lungo la navata centrale corrono tre cappelle per lato, comunicanti tra loro con piccoli corridoi. La facciata si sviluppa in verticale, con l'unico ornamento del porticato a tre fornici. Nell'interno sono conservati quadri e statue in legno di notevole interesse artistico. Nella prima cappella a sinistra di chi entra vi è una grande tela, La Pietà, firmata da Francesco Narici, pittore genovese attivo a Napoli nella seconda metà del Settecento (un dipinto identico si trova presso i Monti Uniti di Credito su Pegno). Pregevole, nella cappella al lato sinistro dell'altare maggiore, la statua lignea settecentesca dell'Immacolata. La decorazione dell'abside è recente (1911). La chiesa e l'annesso convento, dopo le vicissitudini murattiane e postunitarie, sono passati ai frati minori della Provincia di Sant'Angelo.

Tornate a piazza XX Settembre e prendete per Corso Cairoli. Su corso Cairoli rimane quasi niente della serie di edifici e piazzette ottocenteschi che la caratterizzavano.

Conviene proseguire velocemente fino a piazza Umberto Giordano, dove moderne costruzioni hanno in parte aggredito l'originario assetto dopo l'abbrivio dato nel Ventennio per la costruzione del Palazzo degli Uffici Statali (1936) proprio a chiusura della piazza.

* Al centro della piazza, il monumento al compositore foggiano Umberto Giordano (v. pag. 62) opera dello scultore veneziano Vio Romano (1960).

Giordano, al centro del complesso monumentale sembra dirigere-ascoltare la musica delle sue opere, raffigurate da sette gruppi bronzei che l'attorniano: l'Andrea Chénier, Fedora, Il Re, Marcella, La cena delle beffe, Siberia, Mese Mariano. (In precedenza nella piazza era collocato il monumento ai Caduti, opera di Amleto Cataldi, ora in piazzale Italia; prima ancora vi era il monumento a Vincenzo Lanza, opera di Beniamino Calì, dal 1928 in Villa comunale).

* A destra del Palazzo degli Uffici Statali, un po' nascosta alla vista dagli alberi, di fronte a voi, la chiesa di Gesù e Maria, con annesso convento dei Frati Minori.

Costruita tra il 1510 e il 1521, fu distrutta dal terremoto del 1731 e riedificata nel 1738 nelle attuali forme. La facciata su gradinata presenta l'ondulazione tipica delle chiese barocche foggiane costruite dopo il terremoto, con corpo centrale a rientrare. Ha una porta d'accesso centrale sormontata da un timpano triangolare aperto. L'interno è a tre navate. Sono visibili l'impostazione rinascimentale originaria del tempio e le aggiunte barocche. All'incrocio del transetto con la navata centrale, su un alto tamburo, è alzata la cupola, che presenta affreschi e decorazioni di Nicola Lersotti (1754): La gloria francescana e, sui pennacchi, I quattro evangelisti. Sui pilastri della navata centrale, racchiusi in artistici ovali a stucco, vi sono quattordici dipinti della via crucis, di scuola napoletana del Settecento, da alcuni attribuiti al pittore napoletano (attivo a Foggia) Domenico Preste. In una cappella laterale è collocato un grande dipinto firmato da Benedetto Brunetti e datato 1675. Rappresenta la Sacra Famiglia. Si conservano pregevoli statue lignee di epoca diversa: un S. Francesco, un S. Bernardino da Siena, un S. Giacomo della Marca. Tra gli altri dipinti che vi si conservano, una splendida Madonna con Bambino e santi, da alcuni attribuito a Jacopo Palma il Giovane. L'altare maggiore, con relativa balaustra, in marmo policromo, è del Settecento.

Terminata la visita alla chiesa di Gesù e Maria, prendete sulla destra, costeggiando il Palazzo degli Uffici Statali, e uscite in piazza Cavour, ampia piazza del nuovo centro cittadino, abbellita da aiuole e dalla Fontana del Sele, costruita su progetto dell'ing. Cesare Brunetti, nel 1924 (v. pag. 48).

* Chiude la piazza il propileo della Villa comunale, disegnato da Luigi Oberty (1827). Il colonnato, danneggiato dai bombardamenti del 1943, è stato ricostruito, con un leggero arretramento, nel dopoguerra.

La Villa comunale vale una visita. Aperta al pubblico nel 1820, è un bellissimo giardino su un campo rettangolare lungo quasi 1 km con filari di lecci, aiuole, palmizi, pini. In fondo, una montagnola con un tempietto dorico circolare dedicato allo scienziato foggiano Giuseppe Rosati. Dalla montagnola, la "fontana della cascatella", un rivolo d'acqua che scende in un'ampia piscina circolare. Dietro la montagnola il boschetto. In villa sono collocate molte statue dedicate a foggiani illustri. È anche possibile vedere tracce di un insediamento neolitico messo in luce da recenti scavi.

Piazza Cavour, che conserva ben poco dei palazzi ottocenteschi che l'ornavano, è al centro di un lunghissimo rettifilo - dalla Stazione ferroviaria alla Fondazione Maria Grazia Barone - che ha determinato lo sviluppo urbanistico della città tra seconda metà dell'Ottocento e prima metà del Novecento (v. pag. 47).

 

DA PIAZZA CAVOUR A PORTA GRANDE

 

Da piazza Cavour tornate sui vostri passi, verso piazza Giordano. Di fronte a voi, un bivio, tra corso Cairoli, a sinistra, e corso Vittorio Emanuele II. Il palazzo che molto scenograficamente divide le strade è palazzo de Nisi alias Pepe. Un edificio settecentesco ben conservato, scandito da lesene e con balconi ornati da conchiglie e volute. L'ingresso è su corso Vittorio Emanuele II, al civico 5, con un bell'androne in cui spicca una nicchia marmorea. Ovviamente, vi stiamo suggerendo di percorrere corso Vittorio Emanuele, recentemente chiuso al traffico di autoveicoli. Percorrete l'importante arteria cittadina, ricca di negozi, e fermatevi all'incrocio con corso Garibaldi e via Oberdan.

Di fronte a voi, su corso Garibaldi, palazzo Freda (v. pag. 39) che corre anche sul prosieguo di corso Vittorio Emanuele II. Costruito a metà Seicento, fu restaurato dopo il terremoto del 1731. Ha una decorazione molto sobria: lo spazio è limitato da lesene con capitelli corinzi e i balconi sono impreziositi da conchiglie e volute.

* Su via Oberdan, invece, il Convento di S. Domenico, oggi sede dell'Arcivescovado, della Biblioteca diocesana e dell'Istituto di Scienze religiose.

È una delle più antiche e ampie costruzioni foggiane, sorta al margine della "città sveva" a partire dalla seconda metà del XIII secolo. Esternamente non possiede elementi caratteristici, tranne il portale. L'ingresso dà in un lungo porticato, con uno scalone a destra, cortile a sinistra e altra scalinata frontalmente. I domenicani furono espulsi nel 1808 e il Convento fu adibito ad abitazione per gli Ufficiali del Presidio militare. Tornato in mano ecclesiastica, fu adibito per un certo periodo a Seminario Diocesano. Nell'Episcopio sono conservati pregevoli dipinti di scuola napoletana del XVIII sec., tra cui il bozzetto di De Mura per La moltiplicazione dei pani e dei pesci che si trova in Cattedrale.

* È ormai visibile, di fronte a voi, sovrastato da un antiestetico "grattacielo" il Teatro Comunale "Umberto Giordano", che chiude Piazza Cesare Battisti.

Il Reale Teatro Ferdinando (così era intitolato), fu inaugurato solennemente il 10 maggio 1828. Vi fu rappresentata La sposa fedele di Giovanni Pacini. Il progetto per la costruzione del Teatro era stato affidato nel 1825 all'ing. Luigi Oberty dall'Intendente di Foggia, Nicola Santangelo. Oberty realizzò un edificio imponente, di chiara impronta neoclassica. La facciata presentava un colonnato esastilo con porticato, tre finestroni sul portico e un grande timpano aggettante al vertice. La pianta era a ferro di cavallo; sulla platea si affacciavano quattro ordini di palchi (l'ultimo, "a galleria"). All'altezza della seconda fila, il ridotto, che doveva servire da luogo di riunione e di incontri per i notabili della città. La volta non era affrescata, ma presentava come elemento decorativo un grande lampadario. Nel complesso, una decorazione armoniosa e senza orpelli barocchi ed una acustica invidiabile. Ben presto però lo stabile ebbe bisogno di lavori di consolidamento. Ciò avvenne nel mutato regime politico. Con l'Unità d'Italia, frattanto, il Teatro aveva anche cambiato nome: Teatro Dauno. Nel 1877 i lavori di restauro furono completati, ma l'originario progetto dell'Oberty risultò alquanto modificato. Dal prospetto sparirono le colonne, sostituite da tre fornici; i finestroni divennero balconi, fu aumentata la capienza, accorciando il palcoscenico. I nuovi impianti scenografici e il telone videro protagonisti due foggiani: Giuseppe Fania, scenografo del S. Carlo di Napoli, e il pittore Nicola Parisi, che per il telone realizzò un episodio mitico, L'entrata di Diomede in Arpi (il quadro del Parisi che riproduce il telone è visibile nel Museo civico). Nel ridotto, recentemente restaurato con eccessivo sfarzo, sono collocate quattro statue in marmo: la Regina Isabella, di Giovanni Tacca (1828); Francesco I, Ferdinando II e la Regina Maria Teresa, realizzate da Tito Angelini tra il 1830 e il 1841.

Dal Teatro, prendete per via Arco Contini e rientrate nel centro storico. Poche decine di metri e siete in piazza Purgatorio. Sulla destra, al civico 5, palazzo Nicastro, costruito nella seconda metà del Settecento (v. pag. 44).

* Il nome deriva alla piazza dalla presenza della cosiddetta chiesa dei Morti, dal nome della congregazione alla quale si deve la costruzione.

Attualmente in restauro, la chiesa è dedicata a Santa Maria della Misericordia. È un piccolo scrigno che racchiude, dietro la facciata semplice, ornata solo di una lugubre fascia scultorea riproducente ossa umane intrecciate a teschi e i simboli del potere religioso e civile (tiara, mitra), opere d'arte d'indubbio valore. Costruita a metà Seicento, fu ristrutturata dopo il terremoto del 1731. L'altare maggiore, in marmi pregiati e intarsi policromi, con paliotto su colonne di breccia di Francia, con macchie rosse, fu iniziato nel 1686 dai marmorari lucchesi residenti a Napoli Antonio e Lorenzo Fontana. Ai lati del paliotto, due bellissime statue di marmo bianco, S. Michele e l'Angelo custode, di Pietro Ghetti e Lorenzo Vaccaro. Sull'altare maggiore una tela di scuola napoletana del '600, La Madonna della Misericordia e le Anime del Purgatorio, sul fastigio dell'altare un Ecce Homo copia dell'omonima tela del Reni. Alle pareti laterali, 14 tele raffiguranti le Opere di misericordia spirituale e corporale, attribuite a Benedetto Brunetti (XVII sec.).

* Con la chiesa dei Morti siamo ormai nell'area nei cui pressi sorgeva il Palazzo di Federico II.

Una residenza degna - a dire dei cronisti dell'epoca - della magnificenza di Augusto, di cui però rimane ben poco: l'archivolto del portale d'ingresso e la lastra epigrafica che immortala il nome del protomagistro che attese nel 1223 alla costruzione e alla decorazione scultorea: Bartolomeo da Foggia (v. pag. 59). L'archivolto è attualmente murato su un lato esterno di palazzo Arpi (già Municipio, oggi Museo Civico), in piazza Nigri (vi giungete prendendo a destra per via Pescheria). La modanatura della ghiera presenta una decorazione molto fine a fitte foglie d'acanto praticamente sovrapponibili a quelle dei capitelli delle paraste della cattedrale di Foggia (ma anche di Termoli). Il peso dell'arco, prima che dai piedritti, è sostenuto da due imperiose aquile, con le ali quasi spiegate. Il simbolismo (il trionfo e il potere) è reso con sicuro plasticismo ed effetto chiaroscurale che rimandano allo zooforo della cattedrale.

Da pendant, sull'altro lato della piazza, fa il portale del distrutto palazzo della Pianara, incastonato sulla parete esterna dell'attuale sede del Conservatorio musicale, costruito sull'area su cui sorgevano la chiesa di S. Gaetano e il convento degli Scolopi.

* Entrate ora in palazzo Arpi (l'origine della costruzione risale al 1547), per visitare il Museo civico.

Un museo a carattere misto, inaugurato nel 1931, che attualmente svolge un intenso lavoro scientifico e didattico per avvicinare soprattutto i giovani alla fruizione consapevole del patrimonio artistico e storico del territorio foggiano (v. pag. 49).

 

DA PORTA GRANDE A VIA FUIANI

 

Una volta fuori dal Museo, attraversate uno dei tre archi che portano fuori dal centro storico (solo uno, però, quello centrale, Porta Grande o Porta Arpana, è medievale, gli altri due sono stati aperti nel 1955).

* Di fronte a voi, quel che resta dell'antico Piano delle Fosse.

Purtroppo non potete ripetere le considerazioni di Emile Bertaux per quelle mille e più fosse per la conservazione del grano segnate da pilastrini di pietra: "La più grande attrattiva di Foggia è senza dubbio quest'area deserta, che però nasconde, sotto la sua apparenza di morte, una prodigiosa fecondità". Il grano duro, appunto.

* Di fosse granarie ne rimane una sola, proprio davanti alla chiesa di S. Giovanni Battista, che si staglia di fronte a voi con le sue linee barocche insultate da un grande casermone alla vostra sinistra e a destra da una stazione di servizio e dall'ex Palazzo dei Contadini (oggi sede della CGIL).

La chiesa di S. Giovanni Battista, fatta costruire tra il 1714 e il 1725 dalla Confraternita della SS. Annunziata, doveva costituire il caposaldo dell'espansione edilizia della città "attorno" al piano delle fosse che allora, con il convergere dei tratturi, il deposito del grano e l'annuale fiera di maggio, era il fulcro degli affari della città. La facciata della chiesa ha uno sviluppo verticale, accentuato dalla scalinata che converge verso l'ingresso. Il portale presenta ai lati belle decorazioni scultoree. L'interno è a croce latina con unica navata. L'apparato decorativo, di chiaro gusto barocco, è stato più volte restaurato nel corso degli anni. Attualmente vi sono tre altari; il maggiore, con marmi pregiati e baldacchino su colonne, è dedicato a S. Giovanni Battista. Gli altri due - nelle cappelle del transetto - sono dedicati rispettivamente alla miracolosa Addolorata "liberatrice dal colera" (epidemia del 1837) e al Sacro Cuore. Al di là della complessiva atmosfera barocca che vi si respira, la chiesa è priva di opere d'arte di rilievo. Segnaliamo solo, nel transetto a destra, un dipinto settecentesco raffigurante Sant'Alfonso in estasi; a sinistra, invece, S. Sebastiano del pittore foggiano Antonio La Piccirella (fine Ottocento).

* Davanti alla chiesa, poco oltre la fossa granaria, su quattro gradini circolari è innalzata una colonna al cui vertice è una croce in pietra cinquecentesca che reca scolpiti su un verso il Crocifisso con la Madonna e S. Giovanni Evangelista, sull'altro, la Vergine col Bambino.

È opera molto fine, probabilmente di importazione abruzzese per i chiari richiami alla produzione di Giovanni da Casalbore. La collocazione in questo sito risale al 1544.

A destra, guardando la chiesa, proprio dietro l'ex Palazzo dei Contadini, su via XXV Aprile (al *. 74), è possibile intravedere il bel prospetto di palazzo Cutino (1745), venduto nel 1858 alla famiglia Figliolia. Il portale d'ingresso presenta, ai lati dell'arco, una cornice con decorazioni a volute. Al primo piano, tre alti balconi con vertice ad arco danno ornamento e ritmo a tutta la facciata. L'androne immette in una scenografica scalinata. Sul retro, un bel giardino a terrazze degradanti per reggere il dislivello della strada. Attualmente il palazzo è adibito a convitto per studentesse amministrato dalle suore canossiane, secondo lo spirito filantropico dei Figliolia.

Se ora tornate sui vostri passi, potete vedere su Porta Grande il motivo neoclassico delle colonne ioniche impresso da Luigi Oberty a molte costruzioni dei primi dell'Ottocento.

Da Porta Grande prendete ora per via Manzoni, che corre all'esterno del centro storico fino a via Fuiani.

* Incontrate subito uno dei monumenti più significativi della storia della città: l'Epitaffio, così detto dall'iscrizione dedicatoria posta sul lato frontale dell'alta base ottagonale.

È un monumento-emblema dell'istituto della Transumanza (v. pag. 60). Testimonia infatti la reintegra dei tratturi disposta da Ettore Capecelatro nel 1651. Sulla guglia vi è una statua, probabilmente di Carlo II, perché all'epoca di questo monarca risale la sua ricostruzione (avvenuta nel 1697). Il monumento, posto lì quasi a guardia della grande fonte di ricchezza rappresentata dai tratturi e dalla transumanza, è anche di sicuro interesse artistico. La base ottagonale è raccordata alla sagoma curva della guglia da piccoli contrafforti ad orecchioni: la stessa, originale soluzione data pochissimi anni prima da Baldassarre Longhena (1598-1682) alla Chiesa di Santa Maria della Salute a Venezia.

Proseguendo su via Manzoni, all'altezza di via delle Grazie, si incontra sulla sinistra la chiesetta settecentesca di S. Giuseppe (1784), ai cui lati due stretti vicoli in leggera salita immettono in piazza Mercato.

Poco oltre, al civico 75 di Via Manzoni, vi è l'incompiuto palazzo Marchesani-Villani (XIX sec.) dal pretenzioso alto portale con le lesene laterali culminanti in due teste di leoni a mo' di capitelli.

Tornate sullo slargo di via delle Grazie.

* Davanti a voi, la chiesa della Madonna delle Grazie (1777), dalla semplicissima facciata.

L'interno, di piccole dimensioni, presenta una pregevole statua lignea del '700, S. Gioacchino che reca per mano Maria Bambina, attribuita a Giacomo Colombo. In sacrestia, una bella tela di Vincenzo De Mita, raffigurante Gesù Crocifisso, datata 1791.

Proseguite per via delle Grazie. Al termine vi si spalanca l'alberata piazza Sant'Eligio: la statua in bronzo del sindacalista rivoluzionario Filippo Corridoni è di Antonio Saggese (Napoli 1901 - Foggia 1947), avvocato scultore cui si deve anche la ieratica statua di S. Francesco d'Assisi nell'omonima piazza.

* A destra della piazza, la chiesa di Sant'Eligio (il vero titolo è "Santa Maria di Loreto").

Risale quasi certamente al XVI secolo, ma nulla resta del suo originario aspetto. Di rimarchevole oggi dal punto di vista artistico ha solo una bella tela ottocentesca raffigurante la Madonna del Buon Consiglio, collocata nell'omonima cappella. In questa chiesa e nell'annesso Conservatorio del Buon Consiglio (che per lungo tempo fu successivamente adibito a carcere giudiziario) esercitò il suo ministero sacerdotale don Antonio Silvestri (1773-1837).

A sinistra della piazza, palazzo S. Nicandro, che dal 1882 ospita il convento dei frati cappuccini (per breve tempo vi soggiornò anche Padre Pio da Pietrelcina).

* Su per via Sant'Antonio, l'annessa chiesa di Sant'Anna.

La chiesa, costruita sul finire del secolo scorso, conserva una pregevole statua lignea settecentesca di Sant'Anna con Maria Bambina attribuita al Colombo e un Crocifisso ligneo di gusto barocco. Entrambe le statue provengono dalla distrutta chiesa cinquecentesca di Santa Maria di Costantinopoli che i frati cappuccini avevano, con l'omonimo convento, su via S. Severo.

Piazza Sant'Eligio è al centro di uno dei più caratteristici e originali quartieri popolari della città, quello delle Croci, sorto in modo disordinato dopo il terremoto del 1731 con l'urgenza e la fretta che l'emergenza imponevano.

* Il nome deriva dalla chiesa delle Croci (Tempio di Monte Calvario sotto il titolo della Santa Croce) che vi si apre, alle spalle del monumento a Corridoni, in tutta la sua accattivante scenografia.

È uno dei luoghi sacri più cari ai foggiani. Il complesso architettonico (arco trionfale, cinque cappelle e la chiesa, allineati in prospettiva per la lunghezza di circa 150 m leggermente in salita) sorge alla confluenza di due importanti tratturi a partire dal 1693, anno in cui giunge a Foggia, provata da una lunga siccità, il cappuccino calabrese frate Antonio da Olivadi. Al termine della sua predicazione e della processione penitenziale, comincia a cadere una copiosa pioggia. Sul luogo in cui in occasione della predicazione il frate aveva piantato le croci per tracciare il percorso della via Crucis (o della via Matris: i sette dolori di Maria), i devoti fanno costruire delle artistiche edicole caratterizzate da una cupola sorretta da quattro archi. È una tipica costruzione barocca. Quegli aspetti scenografici che non è possibile vedere nelle costruzioni coeve chiuse nello stretto spazio del centro storico, qui trovano tutto il loro esplicarsi, anche se si tratta di un barocco che usa materiale povero per le sue ornamentazioni: il tufo. L'arco trionfale presenta alcuni elementi decorativi molto interessanti. In particolare, sull'estradosso dell'arco il Sole e la Luna, dai tratti antropomorfi, simboli della Divinità e Umanità del Cristo. Le cinque cappelle, una diversa dall'altra, assolvono ciascuna ad una funzione simbolica particolare. La chiesa, aperta al culto nel 1742, presenta una decorazione interna di sapore rococò. Conserva numerose opere d'arte: sul soffitto, il grande telero Salita al Calvario della scuola del De Mura (forse del suo allievo Vincenzo De Mita); in una nicchia sulla parete destra è collocato un dipinto su tavola della seconda metà del Cinquecento noto come Santa Maria in Silvis; nel transetto, un dipinto di Vincenzo De Mita, su preesistente immagine di Maria Maddalena penitente, rappresenta Sant'Alfonso Maria de' Liguori (1817). L'altare, in marmi policromi, proviene dalla Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Interessante la cripta, ove venivano sepolti i confratelli della Congregazione di Monte Calvario. Oggi vi è allestito un piccolo museo della religiosità popolare. Durante il Risorgimento serviva da luogo di incontro tra quanti cospiravano a favore dell'Unità d'Italia. Non a caso l'abito della congregazione presenta i colori della bandiera italiana.

Usciti dall'arco trionfale della chiesa delle Croci, prendete sulla destra per via Sant'Antonio. A cento metri, appena dopo l'incrocio per via Lucera, c'è la caserma "Cesare Oddone". Nell'interno, ci sono ancora due piccoli chiostri e parte dell'antico convento di San Francesco (tradizionalmente indicato come convento di Sant'Antonio) dove alcune fonti letterarie (in particolare Tommaso da Pavia nel suo Dialogus) indicano che fu sepolto nel 1230 il beato Giacomo da Assisi.

Dal convento di San Francesco siete ormai in vista di via Fuiani, da cui questa avventura tra le cose artistiche da ammirare nella città di Foggia è cominciata.

Se volete approfondire la conoscenza dei singoli monumenti, dei dipinti, delle chiese, dei palazzi e della complessiva storia civile, religiosa, economica e politica della città, potete attingere notizie da alcuni di quegli stessi autori e libri (v. bibliografia ) che hanno facilitato il compito del vostro cicerone.

 

Gaetano Cristino