Lo scrigno della memoria:

il Museo Civico

L'entrata è in via Arpi, nelle immediate vicinanze di Porta Grande, cara alla storia e alle tradizioni di questa città, uno tra i pochi segni di quel me-dioevo tanto ricordato e così poco visibile. L'edificio ospitava fino al 1898, anno di una celeberrima rivolta popolare, il Municipio, tanto è vero che l'attuale piazza Nigri, su cui è rivolto il fianco sinistro del palazzo, è detta nelle antiche carte Largo Palazzo.

Il Museo ospita diverse sezioni e, pur privilegiando per spazio e per im-portanza la sezione archeologica, offre svariati spunti di attenzione e di cu-riosità. Punto di riferimento di migliaia di studenti ogni anno che da soli o con le classi lo frequentano, sa parlare di musica, di scienza, di arte, di storia, di etnografia quasi come un album fotografico che racconti la storia del territorio.

Al primo piano - quello destinato alle sezioni più sacrificate dallo spa-

zio - due sale sono dedicate alla storia urbanistica e architettonica di Fog-gia, prezioso biglietto di presentazione di una città modificatasi nella sua millenaria vita per eventi naturali, bellici, umani e - non ultimi - speculativi. Dall'antica carta del Mongelli, via via attraverso ricostruzioni grafiche e fotografiche si giunge alla città moderna, passando per l'età sveva, per il fenomeno della transumanza, per le originali caratteristiche del Piano delle Fosse, per le drammatiche foto della stazione bombardata.

Segue una sala dedicata ad uno dei più illustri figli di Foggia, l'autore di uno dei melodrammi più rappresentati, ancora oggi con successo. L'Andrea Chènier di Umberto Giordano (Foggia 1867- Milano 1948) è qui: nelle lo-candine che segnarono la riapertura della Scala dopo la guerra, nel bozzetto del monumento a Giordano, nel manoscritto originale che reca, datata al 1947, la dedica del maestro alla sua Foggia. E sul pianoforte Bechstein, che accompagnò Giordano negli ultimi anni della sua vita, la foto del Maestro ormai anziano spicca tra quelle della sua gioventù e gli autografi dei musicisti che gli furono maestri e amici.

Tutto un altro mondo nella sala seguente, dedicata al cimeli storici provenienti per la massima parte dal Museo fondato nel 1931; una raccolta di armi bianche e da fuoco, quadri con i re borbonici che convivono con i grandi ritratti di Garibaldi e di Vittorio Emanuele II di Nicola Parisi, le divise della guardia nazionale, del garibaldino trombettiere Leonardo Albanese, dell'Ambasciatore Salvatore Tugini e una piccola collezione numismatica del Regno delle Due Sicilie. Di grande valore ed interesse, un augustale di Federico II in cui l'imperatore appare nuovo Cesare e Imperatore dei Romani.

È poi la volta del mondo rurale e delle tradizioni popolari, con un intero ambiente in cui viene ricostruita la "casa della tessitrice", esemplificativo caso di abitazione garganica tutta raccolta attorno al telaio do-mestico, fulcro di una economia di sussistenza e di grande rigore, documentata in ogni angolo della stanza. Una raccolta di ceramiche e di elementi di religiosità popolare completano la sezione etnografica, erede di quell'im-portante Museo Etnografico che la città possedeva prima della seconda guerra mondiale e delle sue distruzioni.

Dopo una visita alla sala scientifica, con la collezione ornitologica Pedone, anch'essa se-gno del Museo degli anni Tren-ta e particolarmente ricca di es-emplari tipici della zona, e la collezione di conchiglie Baldaz-zi, provenienti da mari esotici e affascinanti nelle forme e nei colori, si sale al II piano dove la sezione archeologica è arti-colata in numerose sale tutte al-l'insegna della civiltà fiorita in Daunia a partire dal Neolitico. Sono del VI millennio i più an-tichi reperti provenienti dai numerosi villaggi trincerati del Tavoliere attestanti una civiltà basata essenzialmente sull'agricoltura, e prima ancora che que-sta si diffondesse nel resto del-l'Europa Occidentale. È comun-que la civiltà daunia, quella fiorita tra X e IV secolo a. C., a es-sere la vera protagonista. E così stele, vasi a decorazione geome-trica, ornamenti in ferro e bronzo, terrecotte figurate, antefisse si affiancano ai materiali influen-zati dalla cultura greca, dagli splendidi vasi a figure rosse alla ceramica ellenistica, ai monili. Un posto preminente è occupato da Arpi, la "metropoli della Dau-nia", e alle tombe ipogeiche elle-nistiche più interessanti della sua ampia necropoli: la tomba della Medusa, quella di Ganimede e quella delle Anfore.

Ancora Arpi fa da aggancio alla Pinacoteca, che racchiude, quasi inglobata nel suo circuito, una sala dedicata a complessi e artistici mosaici provenienti dall'antica città.

Attorno si susseguono le sale con i dipinti, databili al XVIII e XIX se-colo. Sono esposte pale d'altare, tra cui spicca una Maddalena Penitent-e del De Mura, il ritratto di Ferdinan-do IV e Maria Carolina d'Austria e le opere di Saverio Altamura, il più grande dei nostri artisti, patriota esule a Firenze, amante della nuova arte francese e nello stesso tempo fortemente legato ai quadri storici, ammaestratori di virtù patrie. E ancora opere di Caldara, Dattoli, Acquaviva, Parisi e una serie di ritratti "ammonitori" (così venivano definiti nelle antiche guide all'ot-tocentesca Biblioteca Comunale in cui erano originariamente esposti) che rivelano i volti di uomini foggiani illustri, distintisi nell'arte, nella letteratura, nella politica, nella scien-za.

Questi volti che vengono a noi dal passato, sono forse il simbolo dell'essere "civico" del nostro museo, che appartiene a tutti, ai turisti e a chi scopre per la prima volta la nostra città, ma soprattutto ai cittadini, e-redi di un passato e di una memoria di grande dignità.

Gloria Fazia