LE FESTE - IL FOLKLORE - LA CUCINA

Il sapore dei giorni


Dopo aver considerato genesi, sviluppo e testimonianze varie non si può dire di conoscere una città se non se ne penetra l'anima.

Le pietre raccontano, ma l'anima è qualcosa di vivo e la si percepisce tra la gente. Ultimamente eventi bellici, ricostruzione, immigrazione, hanno dato un volto nuovo a Foggia e si è venuto sfilacciando quel tessuto foggiano prima più compatto, più evidente.

Come riprenderlo? Dove? Quando?

Senza indugi, immergendosi nel tessuto sociale più autentico, nel centro storico e nei vicini quartieri settecenteschi, vivendo la religiosità popolare, le ricorrenze con i relativi usi e costumi, ascoltando il linguaggio, assaporando i cibi, per perpetuare idee e gusti della comunità.

Proprio nel centro storico vengono rinnovati riti e cerimonie di un tempo ed i foggiani, quasi per un nostalgico richiamo, vi si radunano legati da un evidente, tangibile senso di appartenenza.

Le ricorrenze puntualmente scandiscono il tempo. Il 3 febbraio nella Chiesa di San Tommaso, la più antica chiesa foggiana, si pratica la devozione di San Biagio, anticamente compatrono della Città, medico e protettore della gola; i devoti si fanno ungere con olio benedetto e non mancano di approvvigionarsi dei microscopici tarallini, anch'essi benedetti, da appendere alla gola e da consumare in caso di necessità.

La devozione diventa spettacolo per la Madonna dei Sette Veli, il 22 marzo e nei giorni precedenti la festa patronale, a ricordo dell'apparizione. In Cattedrale e alla processione non c'è foggiano autentico che non partecipi. Quasi formiche uscite dal formicaio, sono in tanti quelli che assistono alla vestizione e svestizione del Sacro Tavolo con la preziosa Piasora, la teca d'argento sbalzata nel 1691 a Napoli dall'argentiere Vinaccia. Le sagome caratteristiche dei foggiani, dei vecchi, ma anche dei giovani, delle donne, molte delle quali, le più autentiche, con la tipica acconciatura dei capelli, in trecce avvolte intorno al capo o dietro la nuca a crocchia, nel "tuppo", sono lì, commosse fino alle lacrime a dimostrare il loro attaccamento alla Città ed alla sua Patrona.

Il giorno di Pasqua nella Chiesa dell'Addolorata la Statua della Madonna, la stessa che accompagna l'urna del Cristo Morto il Venerdì Santo, vestita a festa, viene incoronata di fiori per la gioia della resurrezione, altri fiori sull'altare vengono benedetti e distribuiti alla folla presente.

L'ultima settimana di aprile il vicino Santuario dell'Incoronata

costituisce per i foggiani e per le popolazioni limitrofe un altro appuntamento da non perdere: il mercoledì la vestizione della statua dell'Incoronata, il venerdì la Cavalcata degli Angeli, il sabato l'apertura del Santuario che per tutto il mese di maggio rimane meta di pellegrinaggi e gite fuori porta. Un tempo sulle bancarelle della piccola fiera si era soliti acquistare un ricordo, presso i venditori di frutta secca, la "pupa", una caratteristica bambola, o un cavalluccio di carta pressata, opere di artigianato locale, e le penne variopinte che ornavano i carretti e i cavalli, in seguito gli automezzi.

Il 22 maggio nella Chiesa di Sant'Eligio la benedizione delle rose di Santa Rita.

Il 13 giugno per la festa di Sant'Antonio si ripete nella chiesa di San Pasquale la distribuzione dei pani benedetti.

Il 26 luglio si anima Borgo Croci per la festa di Sant'Anna e, tra luci e suoni, non manca il tradizionale piatto di lumachine "ciammaruchell(e) e pizz(e) fritt(e)".

Il 15 agosto, in occasione della solennità dell'Assunta, cui la cattedrale è dedicata, si ripete la festa patronale ricordando il rinvenimento del Sacro Tavolo; per questa seconda edizione c'è la presenza degli emigrati ritornati per il ferragosto foggiano.

A settembre, al rientro delle ferie si sente battere il cuore della vecchia Foggia nei manifesti affissi qua e là. Sono manifesti delle Confraternite di Sant'Agostino, dell'Addolorata, della chiesa delle Croci che ripetono antichi riti devozionali con concorso di popolo. Alle Confraternite si deve tanta parte della conservazione di chiese, di documenti e di usanze.

A fine ottobre e nei primi di novembre ritorna il culto dei morti; a Foggia è molto sentito, ravviva non solo l'area cimiteriale ma il centro cittadino per la presenza di pasticcerie e bancarelle coloratissime che espongono le tradizionali "calze dei morti"; anche nelle case c'è animazione, si prepara un particolare dessert di origine greca, il "grano dei morti", a base di grano cotto, chicchi di melagrana, noci, cioccolato, cedro candito, il tutto condito con la sapa, il "vincotto".

Alla fine di novembre un altro appuntamento aspetta i foggiani, la Fiera di Santa Caterina, l'antica fiera, in versione autunnale, legata al mondo pastorale che, per una settimana, vede l'andirivieni di tanta gente tra bancarelle le più disparate per l'acquisto soprattutto di piatti e dell'immancabile "copeta" da sgranocchiare.

Il "vincotto" riappare a Natale nelle "cartellate", nei "mostaccioli", nei "taralli neri"; vi sono per l'occasione altri dolci tipici che evocano antiche memorie, a base di prodotti locali: grano, olio, miele, succo d'uva, mandorle.

"Dimmi che mangi e ti dirò chi sei" e il detto è valido anche per i foggiani. Qui la cucina è povera, ma gustosa, non stucchevole, sfrutta ingredienti di facile reperibilità e si basa su piatti inventati da contadini e braccianti, "terrazzani", che per sopravvivere hanno utilizzato ciò che la natura offre in corretto rapporto stagionale, facendo tesoro dell'oro di Puglia, l'ottimo olio, e del buon vino. A dare tipicità alla cucina foggiana è soprattutto l'uso della verdura: da sola, "assoluta", cotta nella stessa acqua, in combinazione con la pasta o con il pane per il "pancotto", con i legumi, cotta o cruda, è sempre presente a tavola. Tipica al mercato la figura dei "terrazzani" raccoglitori e venditori di erbe spontanee, funghi, rane, lumache, lampascioni e, un tempo, allodole.

Ricca è la varietà di primi piatti a base di pasta fresca, tipici i "troccoli" con la ricotta dura, la "semola battuta", le "fave bianche e lagane".

Specifico è l'uso dell'agnello, in tortiera con le patate al forno, a ragù la pancetta imbottita, "p(e)deja", alla brace gli involtini di budella, i "turrc(i)nill(e)".

Ottimi i formaggi sia freschi che stagionati. Particolari gli "scagghiuzz", triangoli di polenta fritta, le olive nere curate con aglio e alloro, quelle bianche con semi di finocchio selvatico, i "sav(e)zarill(e)" sott'aceto, la vasta gamma di cardi, fave fresche, lattughe, sedano, come "sopata(v)ul(e)" e le pannocchie lesse, "p(e)langhill(e)", per passatempo.

Quale la frutta tipica? Fichi d'India, melecotogne al forno, gelsi bianchi e neri.

E i dolci? Sono sempre occasionali, alle feste: a San Giuseppe le "zeppole", a Pasqua la "squarcella" e la "pizza di ricotta", per le domeniche le "pesche", dolci di pane di Spagna con crema, colorati con alchermes e spolverizzati di zucchero, per le feste in famiglia le "pastarelle", biscotti come di pasta frolla accompagnati da rosolii casalinghi, limoncello e mandarino, per Natale si è già detto e non vanno dimenticate le "mandorle atterrate".

Diverso è il volto nella parte nuova della città, ma nella vecchia Foggia le chiese, le strade, le voci, le vetrine, ripropongono ancora queste immagini, tasselli unici ed inconfondibili che connotano una identità da difendere e tutelare.

 

Maria Teresa Masullo