Dal Mille al Duemila

LA STORIA DELLA CITTA'

Secondo il tradizionale racconto, le origini della città di Foggia risalgono ai primi decenni del Mille e sono legate al rinvenimento della tavola della Madonna Iconavetere o dei Sette Veli, un'antica immagine raffigurante la Vergine Kyriotissa o, secondo una recente lettura (P. Amato), Nicopeia o della Vittoria, affiorata sulle acque di un pantano nei cui pressi era stata occultata, avvolta in drappi o veli (sette sta per "molti"), probabilmente per sottrarla alla furia degli iconoclasti. La leggenda vuole che l'icona fu ritrovata nel luogo tradizionalmente identificato con piazza del Lago, nei pressi dell'attuale cattedrale, da alcuni pastori, incuriositi alla vista di un bue che si inginocchiava al cospetto di alcune lingue di fuoco che ondeggiavano sull'acqua (v. scheda 2). I pastori portarono l'icona nella vicina Taverna del Gufo (o meglio: del bufo, cioè di una una grossa rana, animale più a... suo agio in quel luogo paludoso) ovvero in una chiesetta rurale (ove è l'attuale S. Tommaso), attorno alla quale nacque il primitivo nucleo della città che riaggregò gli abitanti dell'antica città preromana di Arpi (v. scheda 1), dispersi nelle vicinanze dopo la sua distruzione.

Fin qui la tradizione. Resta comunque da chiarire perché un piccolo villaggio, sorto in mezzo alle paludi, sia potuto diventare il capoluogo di una zona popolata da ben più fiorenti e antichi nuclei urbani. Una convincente risposta proviene dalla considerazione che l'assetto degli insediamenti esistenti sul territorio era stato modificato sia dalle scorrerie e dalle distruzioni dei saraceni, sia dalla riforma bizantina del catapano (da cui deriva il nome di Capitanata) Boiano che, per predisporre una serie di difese nel settentrione della Puglia, aveva favorito la nascita di nuovi centri abitati.

È in questo nuovo contesto che nacque, grazie anche alla sua posizione geografica, la "centralità" di Foggia e il suo conseguente, repentino sviluppo, accelerato dalla venuta dei Normanni che, nella battaglia presso la non lontana Civitate, nel 1053, fecero a pezzi il mercenario esercito pontificio ma, subito dopo, deposero le spade ai piedi di Leone IX: un'accorta mossa che pose le premesse per il riconoscimento, a Roberto il Guiscardo, come vassallo della Chiesa, dei territori dell'Italia meridionale, con il titolo di Duca di Puglia e di Calabria (Concilio di Melfi, 1059). Sarà proprio Roberto il Guiscardo a volere l'edificazione della chiesa di Santa Maria de Fovea (o de Focis), sulla quale (o vicino ad essa) Guglielmo il Buono, sul finire degli anni Settanta del XII secolo, fece costruire una nuova basilica.

Nel 1189, alla morte dell'improle Guglielmo II, Re di Sicilia, trovava compimento l'abile mossa diplomatica di Federico Barbarossa che, attraverso le nozze (avvenute nel 1186) tra suo figlio Enrico e Costanza d'Altavilla, ultima erede dei re normanni, aveva posto le premesse alla fusione tra la corona di Germania e quella di Sicilia.

Otto anni dopo, il 26 dicembre 1194, a Jesi, nacque il futuro imperatore Federico II al quale è legato un periodo di straordinario interesse per la storia della città. Lo Svevo giudicò strategica la posizione della Capitanata, dalla quale poteva con maggiore facilità controllare e raggiungere ogni zona dell'Impero e, esaltando la centralità di questo territorio (al quale fu particolarmente legato anche per la bellezza dei luoghi, ideali per le sue celebri cacce) favorì l'espansione di Foggia. Qui, nel 1223, l'imperatore fece costruire il proprio palazzo imperiale e qui egli spesso dimorò, avvolgendo i fasti dei suoi soggiorni e lo sfarzo della sua corte nella leggenda (v. scheda 3). L'imperatore amò tanto questa città che, nonostante nel 1230 essa le si fosse rivoltata contro (e per questo ne ebbe le mura demolite), alla sua morte (avvenuta a Castel Fiorentino, tra Lucera e Torremaggiore, nel 1250) le lasciò il suo cuore, racchiuso in un'urna posta all'ingresso della cattedrale (l'urna è andata dispersa; due delle quattro colonne che la sorreggevano potrebbero essere quelle poste ai lati della nicchia che ospita il Sacro Tavolo dell'Iconavetere).

La repentina fine della potenza sveva non sembrò sminuire l'importanza della città: Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX, il re santo, chiamato dalla Santa Sede a raccogliere la corona dell'Italia meridionale contro gli Svevi in un contesto di forte ritorno del ghibellinismo nella Penisola, tenne spesso corte in un fastoso palazzo in città e fece restaurare la vicina residenza di caccia di Federico II, a San Lorenzo in Carminiano, dotandola anche di una cappella. A Foggia venne convocato un importante Parlamento generale (1272) e nella sua chiesa madre (il cui capitolo fu beneficiato di importanti privilegi e diritti di esazione) fu celebrato il matrimonio di Filippo, figlio di Balduino, imperatore di Costantinopoli e Beatrice, figlia dell'Angioino. Il legame di Carlo I d'Angiò con la città è testimoniato anche da una lapide posta in cattedrale che ricorda come il sovrano, alla sua morte, avvenuta in Foggia (secondo la lapide nel 1284), dispose che le sue viscere fossero conservate proprio in questa chiesa.

 

Con Carlo II "Lo Zoppo" il baricentro della conduzione del Regno si spostò più decisamente verso Napoli, mentre Foggia pagò lo scotto delle "politiche turbolenze" del periodo angioino: la città venne assalita e depredata in più occasioni da bande di ribelli e mercenari; particolarmente feroci furono le devastazioni e i saccheggi perpetrati dalla soldataglia tedesca capeggiata da Corrado Lupo, durante il regno di Giovanna I. Il declino della dinastia angioina, a cui già dal 1282 (è l'anno dei Vespri Siciliani) era stata sottratta la Sicilia, le varie traversie dinastiche, il veloce indebitamento con la potenza economica dei banchieri fiorentini fu momentaneamente rallentata dal vigoroso e lucido governo di Ladislao, del ramo dei Durazzo, alla cui prematura morte (1414) cominciava il disordinato regno della sorella, Giovanna II detta "la Pazza", che concesse a suo nipote Rinaldo di Durazzo, principe di Capua, una cospicua rendita sulla città di Foggia, nella quale visse con sfarzo sino alla morte.

 

Nel 1442, dopo 177 anni, la dinastia angioina cedeva il passo a quella degli Aragonesi: Alfonso d'Aragona, espugnata Napoli, procedette rapidamente alla riorganizzazione amministrativa ed economica del regno. Egli confermò, tra l'altro, tutte le concessioni angioine alla città di Foggia ma, nel contempo, dispose che ritornassero al fisco le terre della pianura di Puglia sottratte da baroni, Università (gli odierni comuni) e Luoghi Pii (enti ecclesiastici) nel travagliato periodo angioino, sulle quali il fisco si limitava a riscuotere un diritto di passaggio per le pecore introdotte nei pascoli del territorio durante il periodo della transumanza.

Il 1°agosto del 1447 l'Aragonese emanò la prammatica sulla Dogana Menae pecudum Apuliae, nominando il catalano Francisco Montluber, che già dal 1443 era stato preposto all'amministrazione dei pascoli fiscali, Procuratore speciale del re e Doganiere a vita (v. scheda 4). La Dogana ebbe inizialmente sede a Lucera, ma nel 1468 si trasferì a Foggia. Ricadrà nel suo territorio una vastissima zona che andava dal Teramano al Salento, collegata dalla fitta rete dei tratturi che ancora nel 1880 - a moltissimi anni dalla fine dell'istituzione - misurava oltre 1500 km (la metà circa della percorrenza nell'età migliore della Dogana). Con il trasferimento della Dogana a Foggia si confermava la vocazione di capoluogo della città, che divenne crocevia dei ricchi mercati connessi alla pastorizia e sede di importanti fiere.

Fu il successore di Alfonso, Ferrante d'Aragona, ad elevare nel 1470 la Dogana a Tribunale, istituendo presso di essa un foro privilegiato che sottraeva tutti coloro che erano sottoposti all'autorità della Dogana alla giustizia ordinaria sia nelle cause civili che in quelle penali; un provvedimento che diede l'avvio alla corsa all'acquisizione di una condizione ambita, favorita anche da quella che fu una costante del regno di Ferrante: contenere drasticamente il potere baronale che, in questo modo, si vedeva privato dell'amministrazione della giustizia e degli stessi vassalli (si arrivò, in seguito, a denunciare il possesso di un solo capo di bestiame pur di assumere questo privilegiato e più libero status giuridico).

 

Nel 1485 i baroni si ribellarono apertamente alle tante misure adottate da Ferrante per "ridimensionarli": la loro congiura fu prima bloccata pacificamente, ma alla sedata rivolta seguirono una serie di feroci atti di vendetta e di repressione che resero definitivamente ostile papa Innocenzo VIII agli Aragonesi (la Chiesa accampava sempre e comunque il diritto di sovranità feudale sul regno) e che spinsero molti baroni a chiedere al re di Francia, Carlo VIII, di rivendicare i diritti degli Angioini su Napoli. Ferrante morì nel 1494; meno di un anno dopo, il 22 febbraio del 1495 Carlo VIII entrava in Napoli quasi senza combattere e dopo aver "passeggiato" attraverso i litigiosi e divisi staterelli italiani. Vero è che il francese veniva in quello stesso anno sconfitto e... rispedito a casa dalla Lega degli Stati italiani che, sia pure tardivamente, avevano compreso il reale pericolo di quell'ennesima impresa straniera in Italia, ma il successore di Carlo, Luigi XII, non per questo rinunciò a provarci, con maggiore accortezza diplomatica, a sua volta. Assicuratasi l'alleanza di Venezia e la condiscendenza di papa Alessandro VI, nell'aprile del 1500 si impadronì di Milano e della Lombardia. L'obiettivo successivo fu la riconquista del Regno di Napoli, ritornato nelle mani degli Aragonesi, i quali si ritrovarono traditi dai loro parenti di Spagna: con il patto segreto di Granada del novembre del 1500, infatti, Luigi ottenne l'assenso di Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, alla conquista del regno di Napoli (l'accordo ne prevedeva la spartizione). I giochi parevano fatti, ma Federico d'Aragona, che era succeduto nel 1496 a Ferrandino, nipote di Ferrante, consegnò il regno e se stesso al re francese: creando un grave dissidio tra Spagnoli e Francesi, i quali ultimi negavano qualsiasi possibilità di divisione del "bottino" visto che quella che pareva un'impresa di guerra si era risolta in un grazioso (e perfido) omaggio degli Aragonesi. Il contenzioso tra Spagna e Francia era affidato, a questo punto, alle armi e campo di battaglia furono anche le contrade pugliesi. Nel 1503 il capitano spagnolo Gonzalo de Cordova, dopo aver resistito per otto mesi ai francesi in Barletta (nei cui pressi si svolse la celebre disfida), capovolse le sorti del conflitto, battendo i Francesi nelle battaglie di Cerignola e del Garigliano. Le due vittorie spagnole portarono alla pace di Blois (1504): i francesi e gli spagnoli, rappacificati anche da una serie di matrimoni "incrociati" tra le case regnanti, raggiungevano l'accordo per la spartizione dell'Italia: con i Francesi a Milano e con gli Spagnoli a Napoli e in Sicilia cominciò un nefasto periodo di dominazioni straniere in Italia che si concluderà solo nel 1860.

 

Foggia durante questo conflitto si era schierata, come gran parte del Sud con gli Spagnoli: come Barletta, anche la città della Dogana aveva resistito all'assedio del conte di Nemours e per questo ottenne da Ferdinando il Cattolico, con diploma del 15 febbraio 1507, il privilegio di città regia (posta, cioè, alla diretta dipendenza del sovrano); fu confermata come sede della Dogana e le fu concessa la facoltà di allargare la rappresentanza dei reggimentari preposti alla civica amministrazione.

 

Alla morte di Ferdinando (1515) salì al trono Carlo V d'Asburgo, nelle cui mani, peruna serie di circostanze, si concentrarono i Regni di Castiglia, d'Aragona, di Napoli, di Sicilia, la Sardegna, le colonie americane e, alla morte di Massimiliano d'Austria (1519), l'Austria, la Carinzia, la Stiria, la Franca Contea, le Fiandre: un immenso dominio per larga parte dalle forti connotazioni medievali a cui si contrapporrà la più moderna (e più consapevole del proprio ruolo di nazione) Francia di Francesco I, succeduto a Luigi XII. Era in gioco il destino della nuova Europa, l'affermazione dei nuovi stati sovrani: in questo conflitto, la prima vera guerra moderna, l'Italia sarà vittima e spettatrice.

 

Nel Meridione d'Italia Spagnoli e Francesi si affrontarono sanguinosamente per disputarsi ancora una volta ricchi e importanti territori: nel marzo del 1528 i due eserciti vennero allo scontro addirittura nell'abitato di Foggia, dove le truppe del generale Lautrec fecero strage degli Spagnoli.

 

Al conflitto che aveva infiammato l'Europa venne posta momentanea fine con la pace di Cambrai del 1529, che sanciva la rinuncia della Francia alle ambizioni italiane; l'anno successivo Carlo V, che aveva stipulato un accordo anche con Clemente VII - il papa umiliato dal sacco di Roma - veniva incoronato imperatore in San Petronio, a Bologna.

 

Fu proprio da Bologna che Carlo V, il 26 febbraio del 1533, confermò tutti i privilegi della città di Foggia, esprimendo in questo modo la sovrana gratitudine per la decisa scelta di campo dei foggiani nel passato conflitto. Sulla stessa linea si attestò il Vicerè don Pedro de Toledo, il quale gratificò di ulteriori provvedimenti la città e diede il suo assenso nel 1551 per una nuova regolamentazione della fiera d'aprile, il cui svolgimento dal 1600 veniva fissato dal 20 aprile al 20 maggio.

Nel primo decennio del '600 le attività commerciali connesse alla Dogana attraversarono un periodo di straordinaria floridezza, ma la terribile epidemia che nell'inverno del 1611-1612 ridusse il bestiame da 1 milione e 600 mila a 570 mila capi inferse all'ecomomia pastorale un durissimo colpo, complicato dal passaggio (1615) dal sistema della professazione (in base al quale ogni locato corrispondeva il suo tributo in misura dei capi di bestiame dichiarati) a quello dell'imposizione di un canone fisso alla generalità (collettività) dei locati, lasciando agli stessi il compito della ripartizione degli erbaggi e della fida dovuta. Il provvedimento si rivelò particolarmente oneroso soprattutto per i grandi locati, che, oltretutto, mancarono l'occasione di controllare direttamente l'ufficio di Doganiere, posto in vendita, secondo consolidata prassi, al maggior offerente e passato prima in mani napoletane e poi genovesi.

La città di Foggia, che sul finire del XVI secolo aveva incrementatato notevolmente la sua popolazione con un massiccio arrivo di "forestieri", in quanto sede della Dogana e centro affaristico e mercantile si trovò a vivere tutti i travagli del momento: i nuovi ceti emergenti della nobiltà e del commercio mettevano in discussione la rappresentatività dei reggimentari, intaccando le prerogative di una oligarchia sempre più corrotta, alla quale si aggiungevano le ruberie e i soprusi degli amministratori e degli agenti della Dogana, la difficile congiuntura, le ricorrenti carestie.

In questa situazione e con le stesse ambiguità con cui si svolgeva la rivolta napoletana di Masaniello, Foggia insorgeva nel luglio del 1647: un'insurrezione che solo apparentemente opponeva i ricchi ai poveri e che, invece, assunse i connotati della guerra civile, "tra posizioni individualistiche consolidate ed esigenze comunitarie emergenti, e di entrambe contro la masseria baronale" (Colapietra). La prima fase della rivolta, nata sui malumori scaturiti dall'incetta di grano della capitale, fu sedata con relativa facilità (i capi dei rivoltosi furono catturati e uccisi), ma ad essa seguì, nel gennaio dell'anno successivo, il tumulto dei locati di Lucoli, vessati dalla grande proprietà nella locazione di Castiglione, i quali introdussero nuovi elementi antifeudali e antimonopolistici in una sollevazione che, diventata incontrollabile, costrinse le autorità a cercare scampo in Manfredonia. Il notaio della Dogana Giovan Sabato Pastore in questo frangente si proclamò barone e governatore e tentò invano di gestire una situazione complessa che, tra limitati provvedimenti, velleitarie mediazioni, intimidazioni e violenze verso nobili, notabili e religiosi, si trascinò fino al venerdì santo del 1648: il rapido esaurirsi della disordinata esperienza della repubblica a Napoli, la repressione militare guidata dagli Avalos (Andrea, principe di Montesarchio e Francesco, principe di Troia), ma, soprattutto, il mancato sovvertimento delle connessioni tra la grande feudalità e gli incettatori di grano decretarono la fine di un periodo denso di tensioni a cui seguì una inevitabile "normalizzazione". Nel 1661, nel tentativo di fornire nuovi incentivi alla pastorizia venne reintrodotta la professazione, si ridusse l'onere della fida, si ridisciplinò l'uso dei pascoli, si misero in atto provvedimenti economici a favore degli allevatori più in difficoltà.

In grave crisi restava - peggiorando - l'agricoltura: la peste del 1656, le ricorrenti e temibili invasioni di cavallette, la cinica e incontrollata speculazione dei commercianti di grano napoletani fecero scendere intorno al 1665 a 1000 carra pugliesi (circa 25 mila ettari) i terreni seminativi (nel 1716 si toccherà il fondo con poco più di 500 carra).

 

Alla morte di Carlo II (1700) si aprì la questione della successione al trono di Spagna: il sovrano deceduto aveva destinato a succedergli Filippo, nipote del re Sole e di sua sorella Maria Teresa, che col nome di Filippo V dava inizio ad una dinastia borbonica sul trono spagnolo, creando non poche preoccupazioni ad un'Inghilterra che, timorosa per la nascita di una formidabile potenza franco-ispanica, si coalizzò con l'Olanda, l'Impero e alcuni Stati tedeschi per scongiurare quest'eventualità e sostenere le pretese al trono di Spagna di Carlo d'Asburgo, riconosciuto col titolo di Carlo III dalle provincie di Catalogna e di Aragona. La guerra, che coinvolse anche il Ducato di Savoia, si protrasse per oltre dieci anni e si concluse non tanto per la sconfitta sul campo degli stremati francesi, quanto, piuttosto, per una mutata situazione politica interna dell'Inghiterra e per nuove situazioni dinastiche che sconsigliavano il perdurare di un conflitto che - oltre tutto - penalizzava fortemente i traffici commerciali tra le nazioni. Con i trattati di Utrecht e di Rastadt, che sancivano la perdita dell'egemonia politica della Francia, Filippo V conservava il trono di Spagna, ma cedeva le Fiandre e le provincie italiane all'Austria, con l'eccezione della Sicilia (poi barattata con la Sardegna nel 1720), consegnata ai Savoia.

 

Fu durante il viceregno austriaco (1714-1734) che Foggia, il 20 marzo del 1731, venne funestata da un violento terremoto che distrusse quasi un terzo delle abitazioni della città e causò molte vittime tra la popolazione. La città era stata colpita da altri rovinosi eventi sismici negli anni 1456, 1534 e 1627. Crollarono o furono gravemente danneggiate molte chiese (tra cui la cattedrale), così come gravissimi danni alla stabilità riportò l'antico Palazzo del Cambio, sede della Dogana, tanto da indurre le autorità ad abbandonare il progetto di un suo ripristino, eccessivamente dispendioso, a tutto vantaggio dell'acquisizione del collegio dei Gesuiti posto nei pressi di Porta Reale. Da tanta rovina Foggia si risollevò abbastanza in fretta, ponendo le basi, attraverso la ricostruzione del post-terremoto, di un diverso assetto e sviluppo urbano: nacquero nuovi quartieri (di Sant'Antonio Abate, di San Francesco Saverio, delle Croci), oltre l'antico tracciato urbano e posti lungo l'asse dei tratturi.

Il terremoto saldò ancora più fortemente il legame della città con la Madonna dei Sette Veli: salvata dalla rovina della cattedrale e trasportata nel convento cappuccino di Santa Maria di Costantinopoli, in via San Severo, la Sacra Icona, il 22 marzo mostrò il Suo volto ai tanti foggiani accorsi in quel terribile momento a chiedere conforto alla loro Patrona.

 

Nel 1738 la pace di Vienna, metteva fine ad un conflitto che aveva coinvolto quasi tutte le potenze europee. Innescata dalla disputa per la successione polacca, la guerra poneva nella sostanza un problema di equilibrio tra la potenza francese e quella austriaca, risoltosi con la sconfitta di quest'ultima, costretta, tra l'altro, a cedere il Regno di Napoli a Carlo di Borbone, alleato dei francesi.

 

Alla venuta dei Borboni vennero messe in atto una serie di misure volte ad incentivare l'agricoltura nei territori della Dogana; provvedimenti presi anche sull'onda di una crescente presa di coscienza dell'indifferibile necessità di operare una profonda riforma del sistema. Già nel 1751 l'abate Ferdinando Galiani (di origini foggiane) aveva denunciato nel celebre trattato Della moneta le ottuse ragioni per cui si continuava a praticare nel Tavoliere "un genere d'industria campestre che non ha esempio d'altro somigliante nella culta Europa, ne ha solo nella deserta Africa e nella barbara Tartaria". Al Galiani, nell'ultimo ventennio del secolo, in pieno illuminismo, si aggiunsero altre autorevoli voci di intellettuali e di studiosi, che trovarono miope ostacolo nella necessità della regia corte di non diminuire le notevoli entrate fiscali che comunque la Dogana assicurava.

 

Nel 1759 Carlo di Borbone salì al trono di Spagna, lasciando su quello di Napoli il piccolo Ferdinando IV, di appena otto anni. Durante la reggenza, e fino al '77, primo ministro del Regno fu il riformatore Bernardo Tanucci che, pur ottenendo qualche successo contro i privilegi ecclesiastici e le ultime forme di dipendenza feudale verso il Papato, non riuscì ad operare incisivamente sul fronte degli antichi privilegi della nobiltà feudale. Il Tanucci fu licenziato soprattutto per l'ostilità della frivola ed ambiziosa Maria Carolina d'Austria, sposa di Ferdinando IV. Mentre in Francia la Rivoluzione era ormai alle porte, a Napoli, soppresso ogni tentativo riformista, sembrava che ci si preoccupasse solo di come far fronte alle enormi spese per il completamento delle regge di Caserta e di Capodimonte.

 

Pochi anni ancora e la Rivoluzione (ma quella ormai saldamente in mano alla borghesia, quella del Direttorio) giungeva in Italia col genio militare di Napoleone (campagna d'Italia, 1796-97). Proprio mentre i migliori reparti dell'esercito napoletano ritornavano dal Nord, dove avevano combattuto contro Bonaparte, a Foggia fervevano i preparativi per le nozze reali tra il principe ereditario Francesco e l'arciduchessa Maria Clementina d'Austria. In quei giorni la città divenne una seconda capitale, essendosi trasferita in città tutta la corte. Grandi lavori furono eseguiti in palazzo Dogana; la civica amministrazione contrasse un debito di 30.000 ducati per far fronte alle spese del grande evento che fu celebrato nella chiesa madre di Foggia il 25 giugno del 1797. La serata di quel memorabile giorno fu allietata dall'esecuzione dell'opera La Daunia felice, composta per l'occasione da Giovanni Paisiello (su libretto del foggiano Francesco Saverio Massari) e diretta dallo stesso autore nel Salone delle Feste di Palazzo Dogana.

Due anni dopo, lo sconsiderato tentativo borbonico di contrastare il dominio francese in Italia, approfittando dell'assenza di Napoleone, bloccato in Egitto, si risolveva in un ridicolo disastro: Ferdinando scappava a Palermo e il 23 gennaio 1799 il genarale francese Championnet proclamava, col sostegno dei patrioti napoletani, la Repubblica Partenopea. Un'esperienza destinata a finire ben presto sotto l'urto degli eserciti delle altre potenze europee coalizzate contro i francesi e sull'onda di una sollevazione popolare che nel Sud fu pittorescamente organizzata dai sanfedisti del cardinale Ruffo. Questo episodio precorritore del Risorgimento fu punito col sangue di tanti patrioti napoletani, a cui si accomunò l'esecuzione di molti di coloro che avevano innalzato l'albero della libertà a Foggia e in Capitanata.

Il ritorno di Napoleone, la strabiliante vittoria di Austerlitz contro la "terza coalizione" degli stati europei (a cui il Regno di Napoli aveva partecipato), arrecò un nuovo smacco per i Borboni di Napoli: Ferdinando IV venne dichiarato decaduto ed il trono venne occupato da Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone (marzo 1806). In breve tempo fu predisposto un disegno di legge (approntato dal foggiano Saverio Barbarisi) che promulgato il 21 maggio 1806, aboliva la Dogana e il suo Tribunale speciale ed istituiva l'Intendenza di Capitanata. Le terre del Tavoliere venivano concesse in enfiteusi perpetua, con preferenza ai locati, dietro pagamento di un canone e di una tassa di entratura. La censuazione si rivelò tuttavia svantaggiosa per tutti, essendo eccessivi sia gli oneri dei canoni che l'entratura, soprattutto per i piccoli censuari. Né migliorò la condizione delle popolazioni rurali, dei terrazzani, dei braccianti e dei pastori, che vivevano e lavoravano in condizioni al di sotto del minimo di sussistenza. In questa situazione nacque e si alimentò il brigantaggio che, fomentato da interessi forti e strada obbligata per coloro che si sottraevano alla leva, fu presente endemicamente in Capitanata per quasi tutto il secolo.

Nel 1808 Giuseppe Bonaparte otteneva da Napoleone il trono di Spagna e lasciava a Gioacchino Murat, marito di Carolina Bonaparte, il trono di Napoli. Fu sotto il suo regno che venne creata la Società di Agricoltura (poi Real Società Economica di Capitanata), istituzione di grande prestigio nata per promuovere l'attività agricola e fu sempre col Murat che venne istituito in Foggia il Tribunale del Commercio per la disciplina delle transazioni commerciali e degli scambi. Queste due istituzioni, insieme alla Camera Consultiva di Commercio e Borsa Cambi, decretata dai Borboni nel 1820, rivestiranno grande importanza nella Foggia mercantile dell'Ottocento.

 

Alla fine dell'avventura napoleonica dei "cento giorni", conclusasi a Waterloo, Murat tentò di reagire tentando di porsi a difensore dell'indipendenza italiana col proclama di Rimini ma, sconfitto dagli austriaci a Tolentino, dovette abbandonare il trono. Un successivo tentativo di riconquistare il Regno si risolse nella sua cattura e fucilazione (Pizzo Calabro, 13 ottobre 1815).

 

Cominciava per Foggia e la Capitanata il periodo della Restaurazione, che si realizzava molto concretamente con la legge borbonica del 13 gennaio 1817, che reintroduceva in parte il sistema della Dogana, tentando di ripristinare un assetto economico ormai definitivamente superato e creando nel contempo enormi difficoltà a un territorio che da poco aveva cominciato a scoprire la sua vocazione agricola e zootecnica.

I moti del 1820, che solo per l'esitazione del comandante delle truppe di Capitanata non partirono proprio da Foggia (l'insurrezione, guidata da Guglielmo Pepe, doveva cominciare durante la tradizionale fiera di maggio), videro attivi e partecipi professionisti, esponenti della borghesia rurale, appartenenti agli apparati statali, organizzati in numerose vendite carbonare (in città se ne contavano quindici).

Il 7 luglio 1820 Ferdinando (dal 1816 Ferdinando I re delle Due Sicilie) firmò la Costituzione, nominando il principe ereditario Francesco vicario generale. L'esperienza costituzionale durò meno di un anno (il nonimestre): sotto la pressione politica e militare delle altre corti d'Europa la costituzione fu abrogata nel marzo del 1821 e fu seguita da una dura repressione a cui si associarono nuove vessazioni fiscali che resero ancora più drammatica la situazione dei censuari del Tavoliere, stremati dall'usura e dalla sempre più vorace speculazione dei mercanti napoletani. Sul finire del 1824 la situazione diventò così grave da rendere necessaria la nomina di un commissario regio, nella persona dell'intendente Nicola Santangelo che con varie misure (dilazioni e abbuoni dei debiti, riduzioni dei canoni) riuscì a dare un certo sollievo ad un'economia ormai languente.

La città, nel frattempo, in un arco di tempo di circa quindici anni si arricchiva di molte opere pubbliche, per la gran parte realizzate dall'ingegnere provinciale Luigi Oberty, il quale diede impronta e gusto neo-classico ai Propilei della Villa Reale, al Real Teatro Ferdinando, alla facciata delle chiese di San Francesco Saverio e di Santa Maria della Croce, all'Orfanotrofio "Maria Cristina", a quella del Palazzo Municipale (specialmente, per quanto riguarda quest'ultimo, su Porta Arpana). Era la città borghese che avanzava e che si sviluppava, anche con i palazzi dei "nuovi ricchi", secondo le direttrici indicate dalla "passeggiata" dell'Oberty, lasciandosi alle spalle gli antichi quartieri.

Al breve regno di Francesco I (1825-1830) seguivano intanto i ventinove anni di Ferdinando II, durante i quali la città visse un felice momento di sviluppo, di prosperità, di vivacità culturale, in stridente contraddizione con una situazione economica che nel resto del territorio continuava a restare arretrata e strutturalmente debole.

 

Proseguiva il dibattito sulle terre del Tavoliere, che vedeva schierati su posizioni apparentemente opposte, tra gli altri, Giustino Fortunato, convinto sostenitore dell'affrancazione, e Carlo Afan de Rivera che considerava momento necessario e preliminare ad essa l'opera di bonificazione. Si riprospettavano anche quegli esperimenti di colonizzazione che, già falliti nella zona dei Siti Reali di Orta, si rendevano necessari per ripopolare un Tavoliere che diventava sempre più una desolata landa. Per tentare di arginare la piaga dell'usura e per incentivare e sostenere l'attività agricola e armentizia nel 1834 fu istituita la Banca del Tavoliere, che però, disamministrata, cessava l'attività nel 1837.

 

Nel 1837 Foggia fu funestata da un'epidemia di colera. Quando il morbo era ormai in fase calante, pochi giorni dopo il prodigio delle lacrime della statua della Madonna Addolorata nella chiesa di S. Giovanni Battista, il colera faceva tra le sue ultime vittime don Antonio Silvestri, il fondatore del Conservatorio del Buon Consiglio, il campione dei poveri e degli emarginati, figura emblematica e leggendaria della Foggia dei primi decenni dell'Ottocento.

Gli avvenimenti politici successivi, che dopo il 1848 mutarono decisamente in segno reazionario il regno di Ferdinando II, trovarono riscontro anche a Foggia e in Capitanata, ma furono attenuati dall'inquietudine della borghesia rurale per il crescente "pericolo" delle plebi contadine, che andavano sempre più prendendo coscienza del proprio ruolo e che si sollevarono in numerosi comuni del circondario.

Analoga situazione si presentò all'indomani della raggiunta unità d'Italia: deluse dal "nuovo ordine", le classi più povere si ribellarono in molti paesi dei dintorni, facendo strage di "galantuomini" ed inneggiando ai Borboni e al Papa. Ma se la rivolta ben presto assumeva i connotati di un movimento reazionario, sostenuto da larga parte del clero, ugualmente errato era il tentativo "piemontese" di ridurre le sommosse ad un problema di ordine pubblico. Le file di quanti passavano al brigantaggio si infittivano in maniera drammatica, costringendo il giovane Stato unitario ad un grande dispendio di mezzi militari per una questione che era politica ed economica: era la questione del Tavoliere che, posta al Parlamento italiano nel 1861 da alcuni deputati pugliesi con tre disegni di legge, fu dibattuta fino al 21 febbraio del 1865 quando, con il voto positivo del Senato, finalmente si poteva dare inizio all'affrancamento delle terre del Tavoliere.

Tra il 1861 e il 1866, con l'inaugurazione dei tronchi ferroviari per Castellamare Adriatica, Barletta e Bovino, il capoluogo del Tavoliere si avviava a diventare uno dei nodi ferroviari più importanti del Regno. Con i ferrovieri e con gli occupati della officina riparazioni della Società Meridionale si modificava sempre più la stessa connotazione sociale della città (v. scheda 5).

Ma gli ultimi decenni del secolo portarono nel complesso poco o nulla di buono alla città: in crisi la pastorizia, il mercato della lana e l'industria lattiero-casearia, sempre in difficoltà l'agricoltura, per l'immobilismo dei grandi proprietari, per il perdurare del latifondo, per la scarsità di capitali e per la conseguente mancanza di piccole imprese, Foggia aveva perso ormai il ruolo di piccola capitale mercantile del Regno: cominciava una lunga stagione di emigrazioni e di lotte contadine, di calamità (il colera del 1884, che poi si sarebbe ripresentato nel 1910) e di sommosse. Alla sommossa per il carovita dell'aprile del 1898 è legato l'episodio - funestissimo per la ricostruzione della storia cittadina - dell'assalto al Palazzo Municipale di una folla di popolani che appiccò l'incendio ai documenti dell'Archivio comunale.

I primi anni del nuovo secolo registrarono uno sciopero dei ferrovieri conclusosi con cinque morti (18 aprile 1905) e l'uccisione, da parte di un anarchico manovrato dagli agrari, del presidente della lega dei contadini di Foggia Silvestro Fiore (26 settembre 1909): episodi sintomatici di