Dal Settecento dei pastori

all'Ottocento dei contadini

 

 

Non c'è solo enfasi nelle descrizioni settecentesche della città di Foggia. Prima del terremoto il Calvanese, a fine secolo il Longano e il Galanti la caratterizzavano come città di "gran commercio", ricca, popolata, "propizia" a mercanti forestieri e adorna di bei palazzi.

Nel 1794 la città supera ormai i 18 mila abitanti, è tra le maggiori del Mezzogiorno continentale, sia pure a distanza abissale dalla Capitale, ed ormai nettamente la più popolosa della Capitanata. Da tempo le case hanno valicato la linea, sempre meno riconoscibile, delle mura prefedericiane, contribuendo precocemente a costruire una diversa struttura urbana. La città non è più verticale, con le botteghe e le case dei poveri che occupano i sottani dei palazzi dei "signori", ma si sviluppano quartieri socialmente specializzati (quello di Gesù e Maria, sempre più quartiere dei numerosi "vaticali", cioè dei carrettieri).

Due secoli prima, nel 1545, la città era appena sesta in provincia, con i suoi 2 mila abitanti circa, ben lontana non solo da Lucera, San Severo e Troia, ma anche da Ascoli e Manfredonia.

Poco prima, nel 1471, un pellegrino fiammingo, di passaggio in città, non poteva definirla che come un "piccolo borgo", per di più "brutto", di cui non metteva conto segnalare che il palazzo reale e la chiesa.

Il Settecento, nonostante il dramma del terremoto, segna un'importante discontinuità. Ma non c'è dubbio tuttavia che sia l'Ottocento il secolo decisivo nella storia della città, non solo dal punto di vista demografico, ma anche della stratificazione sociale, delle funzioni e diremmo, persino dell'identità.

Foggia all'inizio del Novecento (nel censimento del 1901) supera i 53 mila abitanti e da tempo ha visto rimodellare dagli interventi di "decoro urbano" dell'ultimo periodo borbonico l'aspetto dell'informe espansione post-terremoto (la villa, il teatro, luoghi emblematici della città "borghese"). Inoltre con l'arrivo della ferrovia, nel 1863, ha visto riorientare le direttrici del suo sviluppo urbanistico. Ma non c'è solo questo: la ferrovia costituirà a lungo un tassello significativo anche della sua connotazione sociale. Alla fine degli anni Ottanta ai ferrovieri addetti al movimento dei treni di un nodo di collegamento importante nel Mezzogiorno, si accompagnano oltre 400 occupati nella grande officina riparazioni della Società delle strade ferrate meridionali, la prima grande "fabbrica" della città. Gli uni e gli altri saranno protagonisti delle prime esperienze associative, politiche e sindacali del mondo del lavoro foggiano, dopo le società di mutuo soccorso artigiane.

Nell'Ottocento la città assume, inoltre, un'altra precipua caratteristica della sua storia più recente. Le ripetute crisi del commercio delle lane "nazionali" fanno declinare le funzioni mercantili, così come l'abolizione della Dogana e la crisi della pastorizia transumante trasformano la città delle pecore in città del grano. Il posto dei pastori abruzzesi viene preso dai contadini, spesso braccianti, immigrati dall'Irpinia, dal Subappennino o dalla Terra di Bari. La città dei pastori transumanti, dei terrazzani e dei "vaticali" diventa la città dei contadini.

D'altro canto la connotazione prevalente dell'élite è segnata sempre di più dalla rendita, più che dal commercio.

"Gli olandesi di Sicilia - come li aveva definiti l'acuto padre Manicone - i primi calcolatori del Regno nel negozio, e nel commercio" sono sempre più solo "proprietari", poco dinamici e molto tradizionalisti.

La città degli uffici, della burocrazia, è invece un fatto novecentesco: l'amministrazione pubblica, che pure aveva segnato la storia della città (si pensi ancora alla Dogana e al suo Tribunale) non arriverà a connotare la cultura e l'immagine di Foggia che in questo dopoguerra. Ma questa è un'altra storia.

 

Saverio Russo