LA ZECCA DI MANFREDONIA

 

Parlare degli Svevi, di Manfredonia e della sua Zecca senza parlare della Puglia in genere e di Brindisi medievale vuol dire fare un discorso a circuito chiuso. Poiché la storia è tutto un discorso aperto, allora è necessario soffermarci un po' sull'Apulia antica, quella precisamente del periodo 1085-1197: due date fondamentali per comprendere la storia della numismatica pugliese, senza considerare naturalmente il periodo romano e quello greco.

Il 1085 segna l'apertura della Zecca dei Normanni in Puglia con Brindisi e i suoi "Follari", battuti da Ruggero Borsa duca fino alla sua morte (1111).

Il 1197 è l'anno dell'elezione di Federico di Svevia a re di Sicilia sotto la tutela della madre Costanza d'Altavilla, ultima erede normanna, che nel 1194 andò in isposa a Enrico VI di Svevia, re dei Tedeschi per volontà di Federico Barbarossa col preciso intento di unire la corona di Sicilia e quella di Germania. L'unione delle due corone suscitò l'opposizione del Papato, perché essa poneva lo Stato Pontificio tra due fuochi. E questo spiega la discesa di Carlo d'Angiò in Italia e la conseguente sconfitta di re Manfredi, avvenuta a Benevento il 26 febbraio del 1266.

 

Il 1197 segna quindi l'inizio della fortuna degli Svevi, che durerà fino all'anzidetta sconfitta dell'ultimo biondo Svevo (re Manfredi) e precisamente:

 

* dal 1197 al 1250 con Federico II (successo al padre Enrico all'età di 3 anni); d

* al 1250 al 1254 con Corrado I (re dei Tedeschi nel 1237 e successore al trono di Sicilia nel 1250, alla morte del padre Federico II);

* dal 1254 al 1258 con Corrado II, detto Corradino (successo al padre Corrado I all'età di 2 anni e morto nel 1268);

* dal 1258 al 1266 con Manfredi (principe di Taranto e reggente del Regno di Sicilia nel 1250).

 

Il 1250 registra, oltre la morte di Federico II, anche la crisi dell'Impero a favore del Papato. E tutti gli sforzi fatti da Federico II e dai figli Manfredi ed Enzo (re di Sardegna) per la creazione di un forte Stato nell'Italia settentrionale non riuscirono ad unire i dominii italiani a quelli tedeschi.

Enzo, nato nel 1220 dalla stessa madre di Manfredi (Bianca Lancia), nonostante i diversi successi contro i Comuni ribelli dell'Italia settentrionale, il 26 maggio del 1249 con la sconfitta subita a Fossalta viene fatto prigioniero e condotto a Bologna, dove mori nel 1272.

Sempre nel 1250, quando Corrado I si trovava in Germania a lottare per i suoi dominii contro Guglielmo d'Olanda, che i Guelfi e il Papato gli avevano contrapposto, Manfredi veniva nominato reggente del Regno di Sicilia. Questa reggenza, un po' travagliata, è caratterizzata dal ritorno di Corrado I dalla Germania (1252), che, con l'aiuto del partito tedesco, riuscì ad impadronirsi del Regno di Sicilia.

 

Nel 1254 improvvisamente moriva a Lavello Corrado I, lasciando il trono al figlioletto Corradino sotto la protezione della Santa Sede e il governo del Regno al Marchese Bertoldo di Hohenburg, che non accettò.

Questo stato di cose, unitamente all'ostilità di Innocenzo IV, favorì nuovamente la reggenza di Manfredi, grazie soprattutto all'appoggio della nobiltà siciliana e alla diffusa e falsa notizia della morte di Corradino, che in realtà avvenne il 29 ottobre del 1268 a Napoli nella Piazza del Mercato, dopo essere stato sconfitto a Tagliacozzo da Carlo d'Angiò nel tentativo di riconquistare il suo regno.

 

Praticamente dalla morte di Federico II (1250) al 1266 il sovrano effettivo del regno di Sicilia era Manfredi anche se Corrado e Corradino coniarono monete rispettivamente per i periodi 1250-1254 e 1254-1258.

Durante il periodo (1197-1266) furono battute diverse monete in oro, argento-mistura e rame a Messina, a Brindisi e a Manfredonia.

Le Zecche di Messina e di Brindisi hanno funzionato per tutto il periodo del dominio svevo da Enrico VI e Costanza d'Altavilla a Manfredi: Messina dal 1194 al 1266 e Brindisi dal 1194 al 1263.

La Zecca di Manfredonia ha invece battuto monete solo dal 1263 al 1266, contrariamente a quanto asserisce qualcuno, perché dal 1258 al 1263 Manfredi batte monete in rame e mistura a Brindisi. Sta di fatto che alcuni denari di Manfredi hanno nel campo una grande "A" e altri denari "AP" in monogramma (Apulia). Gli stessi monogrammi "A" e "AP" sono riportati sui denari e mezzi denari di Federico II, battuti a Brindisi, quando Manfredonia non era stata ancora fondata.

 

L'esistenza di queste monete, contrassegnate da "A" e "AP", sta a dimostrare che Manfredi continuò a battere monete con gli stessi simboli a Brindisi. Pertanto, tutte le monete sveve riportanti "A" e "AP" sono da attribuire esclusivamente alla zecca di Brindisi.

Dei denari battuti a Messina (1258-1266) alcuni portano un'aquila (simbolo di potenza già da Enrico VI), altri una "S" o una "S" crociata nel campo (Sicilia), altri la scritta "MAY" (Maynfridus) e altri ancora una "T" stilizzata per Trinacria, anche se il Corpus Nummorum Italicorum attribuisce quest'ultima a Manfredonia.

La monetazione in biglione coniata a Manfredonia porta nel campo due tipi di emme: (emme gotica o "M" normale) sul diritto e una croce sul rovescio. La emme sta per indicare sia l'iniziale di Manfredi che il segno di Zecca di Manfredonia. Il segno "M" non può essere attribuito a Messina, perché le monete siciliane sono caratterizzate dai simboli "S", "S" crociata, "T", "MAY"" e aquila spiegata, mentre quelle di Brindisi "A" e "AP".

 

Da quanto sopra si deve dedurre che anche Manfredonia avesse un simbolo. Questo simbolo, procedendo per esclusione e per logica, e dato dai due tipi di emme (gotica e normale), che non figura in nessun'altra moneta battuta a Messina dai predecessori di Manfredi, contrariamente ai simboli "A" e "AP" delle monete brindisine di Federico II e Manfredi.

I Tari d'oro e i multipli di Tari sono stati battuti a Messina dal 1258 al 1263, mentre dal 1263 al 1266 essi furono battuti a Manfredonia.

La monetazione manfredina, sia in ora che in biglione, e stata molto più abbondante di quella dei suoi predecessori anche se fatta con poca cura e più difficile a trovarsi di quella di Federico II. La maggior parte delle emissioni in oro sono della Zecca di Manfredonia. Altre monete d'oro, dopo la morte di Manfredi e la chiusura automatica delle Zecche di Manfredonia e Messina, sono state coniate da Carlo d'Angiò con la riapertura della Zecca di Brindisi e la concessione del diritto di conio a Bar letta per il periodo 1266-1278, perché dal 1278 fino alla morte di Carlo (1285) la Zecca funzionò a Napoli.

 

Con la riapertura della Zecca di Brindisi da parte di Carlo d'Angiò è probabile che gran parte della monetazione aurea di Manfredi sia stata fusa, perché, come ci racconta Salimbene da Adam cronista medievale, re Carlo aveva in dispregio Manfredi e ogni sua traccia tanto che tentò di chiamare "Nuova Siponto" la città di Manfredonia, fondata dal suo rivale.

Di particolare importanza storica e rarità è il denaro di Manfredi, che porta una grande "R" nel campo in monogramma REX, che tutti gli studiosi di numismatica medievale meridionale attribuiscono alla Zecca di Messina in occasione dell'incoronazione del 1258.

 

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Michele Guglielmi, Manfredonia