FERDINANDO GALIANI figlio di Matteo Galiani e Maria
Giamburri di Lucera, é nato per caso a Chieti, ove il padre era impiegato statale il 2
dicembre 1728. Di questo ragazzo si occupò lo zio Mons. Celestino che ebbe la fortuna,
prima della morte, di vedere il nipote assurgere alle più alte vette della Scienza
Economica. Ferdinando, più dello zio Celestino, si é sempre occupato della sua terra di
origine, a Foggia e alla Capitanata egli rimase sempre legato. Ne fanno testo i numerosi
scritti della maturità, le lettere degli ultimi anni della sua vita, in cui sono
descritti fatti, avvenimenti e ricordi che riguardano i costumi, le tradizioni e il
dialetto di Foggia e della Puglia. Aveva anche viva la coscienza dei gravi problemi che
travagliavano la nostra terra a cui era orgoglioso di appartenere.
Sin da giovanissimo Ferdinando rivelò il suo acuto e precoce ingegno che gli valse la
protezione e lincoraggiamento dello zio Celestino ed anche lausilio del
Cardinale Lambertini, che diventerà poi Papa col nome di Benedetto XIV. Dallo zio
monsignore, che nel 1732 era diventato Prefetto dei Regi Studi, Ferdinando
assimilò lindirizzo critico, positivo e scientifico, che in seguito caratterizzò
la sua opera di scritore e di economista. Fu un ingegno molto precoce: infatti
alletà di 16 anni tradusse e commentò le Considerazioni delle conseguenze
del ribasso dellinteresse e del rialzo della valuta e della moneta del Locke.
In questo periodo prese a frequentare due dottissimi delleconomia e della politica:
il marchese Alessandro Rinuccini e labate Bartolomeo Intieri che frequentavano il
salotto dello zio Celestino. E fu proprio nel giro di queste amicizie che mise a confronto
i diversi indirizzi di economia politica. Ed in questo clima Ferdinando maturò
lidea di organizzare razionalmente in un vero e proprio trattato una materia così
nuova. Venne fuori il trattato Della Moneta, che fu ultimato quando Ferdinando
non aveva compiuto ancora il ventunesimo anno di età. La pubblicazione fu volutamente
anonima. Il trattato ebbe un grande successo anche editoriale. Ricevette gli elogi persino
del Papa Benedetto XIV e a Firenze dellAccademia della Crusca, a Torino da Carlo
Emanuele III, a Milano dal Beccaria e dal Verri. Tutti manifestarono il loro apprezzamento
per lacume del giovane autore del De Moneta.
Anche in epoche successive uomini di dottrina ebbero ad esprimere consensi ed attenzione.
Le traduzioni in lingua francese e tedesca del trattato dettero grande notorietà a
Ferdinando. Ebbe elogi da Ugo Foscolo, da Alessandro Manzoni (vedi Manzoni: Postille
al trattato della moneta) e persino Carlo Marx, in ben quattro note a piè di pagina
del suo Das Capital, riporta alcune considerazioni del Galiani. La seconda
importante opera di Ferdinando fu scritta in francese sotto forma di dialogo, infatti essa
si intitola Dialoghi sul commercio dei grani.
Ma mentre lunanime riconoscimento del suo talento si andava diffondendo, due notizie
luttuose colpirono Ferdinando Galiani:
- la morte dello zio Mons. Celestino nel 1753 del quale ebbe a scrivere: perdita
grave ed irreparabile per le lettere, delle quali era stato nella sua patria più illustre
che fortunato ristoratore;
- la morte nel 1758 del suo grande protettore: il Papa Benedetto XIV ed ai funerali che si
tennero a Napoli fu incaricato Ferdinando di celebrare lelogio funebre che
lilluminista Diderot qualificò con la seguente espressione: un morceau blein
deloquence et de nerf.
Nel 1760 labate laico Galiani inizia un decennio di vita culturale e mondana. Fu
infatti inviato in Francia come aiuto di ambasciata dellambasciatore di Napoli,
conte Cantillana. A Parigi vi rimase quasi per 10 anni ed ebbe modo di conoscere i più
illustri scienziati, scrittori del secolo dei lumi.
Scrisse anche Il dialetto napoletano ed il Vocabolario del dialetto
napoletano ed anche una commedia in tre atti musicata da Giovanni Paisiello:
Il Socrate immaginario che riscosse un grande successo. Nel 1785 scrisse
Galeota in Parnaso venticinque motti di Ferdinando Galiani ed una satira in terza
rima. Si ammalò di apoplessia e due anni dopo, il 3 ottobre del 1787, morì in
Napoli e fu sepolto nella chiesa dellAscensione accanto al sepolcro dello zio Mons.
Celestino senza una lapide, una epigrafe che lo ricordasse ai posteri.