La Preistoria
La provincia di Foggia è abitata fin dai tempi più remoti della preistoria. Le prime tracce di insediamenti umani, rinvenute nel Gargano, risalgono infatti al Paleolitico. Alla stessa epoca è attribuibile Grotta Paglicci, nei pressi di Rignano Garganico; gli archeologi hanno qui rinvenuto, assieme a molti utensili ed oggetti lavorati, pitture parietali che raffigurano cavalli e mani umane, che secondo gli studiosi sono le sole, in Italia, che si possano sicuramente attribuire al Paleolitico.
Già nel Neolitico, la pianura ed il promontorio del Gargano si rivelano densamente abitati. Nell’arcipelago delle Tremiti è stata documentata l’esistenza di una comunità dedita all’allevamento degli animali. A Coppa Nevigata, nei pressi di Manfredonia, i progenitori del popolo dauno si dedicavano alla raccolta dei molluschi che proliferavano nelle lagune salmastre del litorale.
Il Tavoliere dovette essere certamente uno dei primi posti d’Europa in cui si sviluppò l’agricoltura, sintomo della nascita di una civiltà stanziale. I villaggi neolitici rinvenuti nella piana sono caratterizzate dall’esistenza  di tracce che testimoniano il radicamento di una comunità civile che comincia ad adattarsi al territorio, e ad adattarlo alle sue esigenze.
Che questa civiltà fiorì rapidamente, è testimoniato dal rinvenimento (al Villaggio di Passo di Corvo, presso Foggia) di ceramiche e di una struttura residenziale che lascia pensare ad un insediamento di notevoli dimensioni, e di evoluta civilizzazione. Nel Gargano, sono state invece ritrovate numerosissime testimonianze del Campignano, periodo caratterizzato da utensili particolari come il tranchet, l’accetta ed il piccone. Di particolare interesse il rinvenimento a Grotta Scaloria, vicino Manfredonia delle tracce di un culto dell’acque.
Fotografie aeree scattate dai piloti della RAF durante la seconda guerra mondiale hanno documentato l’esistenza di ben 200 villaggi neolitici nella sola piana del Tavoliere.

Il mito di Diomede
In questa terra prospera, l’uomo comincia a scrivere faticosamente la propria storia, che presto sconfina nella leggenda, e nel mito.
La Daunia del primo millennio si estendeva dal fiume Tiferno (l’odierno Biferno) all’Ofanto, allora era ricca di fiumi e di acque. Secondo la leggenda, qui sbarcò esule Diomede che fondò Arpi, Lucera, Aecae, e poi sposò la figlia di Re Dauno, Drionide.
Nella piana del Candelaro, sono stati ritrovati i reperti archeologici più interessanti ed affascinanti di questo periodo, le stele daune, pietre funerarie custodite presso il Museo Nazionale di Manfredonia, che confermano l’esistenza di un solido rapporto con la civiltà ellenica.
La presenza di una cultura (che per alcuni studiosi giunse ad essere addirittura un culto) legata all’eroe greco è testimoniata anche dalla toponomastica. Diomedee vengono definite le Isole Tremiti (dove le notti d’estate fanno sentire la loro voce alcuni particolarissimi gabbiani, definiti “diomedee”: secondo la leggenda sarebbero i lamenti dei compagni di Diomede, che piangono il loro amico morto). Con l’appellativo di Campi Diomedei è stata invece definita per molti secoli la parte nord-orientale del Tavoliere.
Con l’inizio della civiltà classica, troviamo quindi una civiltà ed un’economia fiorente, soprattutto nella pianura.

La Capitanata romana
Tra questa e le prime balze del Gargano e dei Monti della Daunia sorgevano almeno sette città. La più importante, a qualche chilometro dall’abitato dell’attuale Foggia, fu Arpi. Varrone parla di un’ottima razza di cavalli che vi veniva allevata. Sembra che la cinta muraria si estendesse per circa nove chilometri. Ad ulteriore conferma dell’importanza economica che la città dovette avere vi è il ritrovamento di numerose monete che venivano coniate in loco, fino all’epoca bizantina.
Siponto era il porto di Arpi, e sempre sul mare, un po’ più a sud, sorgeva Salapia (vicino all’attuale Zapponeta). La città sarebbe stata abbandonata nel 29 a.C. e ricostruita all’interno per l’abbassamento del litorale mentre all’incrocio tra la via Aurelia e la via Traiana - a conferma di come sullo sviluppo delle città abbiano decisamente influito le vie di comunicazione - c’era Herdonia, il cui parco archeologico rivela ancora oggi una notevole prosperità. D’incerta collocazione è Ceraunilia (secondo i più sarebbe l’attuale Cerignola), mentre tra la piana e le colline daune erano attestate Aecae, l’attuale Troia, e Luceria. Quest’ultima è tra le città più ricche e fiorenti: risale all’epoca romana lo splendido anfiteatro che ancora oggi ospita pubblici spettacoli. I reperti custoditi nel Museo Civico ci mostrano una bella Venere di ispirazione policletea e monete coniate in loco.
A nord, invece, sul fiume Fortore c’era Teanum Apulum, nei pressi dell’attuale S.Paolo Civitate. Municipium romano, e passaggio obbligato delle greggi che dall’Abruzzo venivano condotte a svernare nella Piana, era qui che probabilmente venivano consegnate le locazioni, ovvero i pascoli. Lo stesso toponimo Tavoliere è in qualche modo legato alla pratica della transumanza: le terre a pascolo erano infatti accatastate nel Tabulario, l’archivio romano.
Sulle coste garganiche, si succedevano invece Matinum, l’odierna Mattinata, Vieste, Uria. La romanità conferma, insomma, l’idea di un territorio popoloso ed operoso, e non dedito esclusivamente, come hanno ritenuto alcuni storici, alla pastorizia.
La diffusione del pascolo non impedì comunque lo sviluppo dell’agricoltura e della zootecnia. Le terre del Tavoliere sarebbero diventate infatti di lì a poco teatro di guerre tanto incerte quanto sanguinose, sia per essere ubicate in una posizione strategica, sia per essere ricche di cibo e di provviste.
Minacciate dai sanniti, Herdonia e Lucera diventano alleate dei Romani (Lucera ne diventa colonia dal 314 a.C.). A seguito della guerra tra Roma e Taranto e l’alleanza di questa con Pirro, Ascoli Satriano ospitò una delle più terribili battaglie dell’antichità. Nel 278 a.C., il re epirota inflisse ai Romani una pesante sconfitta, dovendo tuttavia accusare perdite tali che lo indussero a ripiegare su Taranto. Quattro anni dopo, il re greco veniva irrimediabilmente sconfitto presso Benevento.
Ma per i Dauni non ci sarà pace. Per loro sembra innescarsi una costante che li accompagnerà fino ai nostri giorni: la favorevole posizione di questa terra, ne fa, sì, un naturale crocevia di civiltà e di cultura, ma al tempo stesso lo rende un naturale teatro di guerre e di scontri.
Nel 217 a.C. è la volta di Annibale. Il condottiero cartaginese si accampa presso Bovino. I Dauni restano fedeli a Roma e riescono a respingere le truppe nemiche nelle montagne appenniniche. Ma le necessità di vettovagliamento inducono Annibale a tornare nel Tavoliere, dove il 2 agosto del 216 a.C. infligge ai Romani una gravissima sconfitta.
Non c’è certezza sull'esito esatto di questa battaglia, che la tradizione colloca a Canne, sull’Ofanto. Secondo importanti ricerche condotte dal dott. Mario Izzo, un medico con la passione di archeologo, la battaglia si sarebbe in realtà svolta nei pressi di Castelluccio Valmaggiore. In ogni caso, Annibale ha spesso trasformato la provincia di Foggia in terra di scontro con i Romani: ad Herdonia, si svolsero due battaglie, e sempre con esito favorevole all’africano.
Ma con la successiva e definitiva sconfitta dei cartaginesi, la situazione politica si assesta: la Daunia diventa interamente romana e tale resta per tutto il periodo di fulgore dell’Impero.

La crisi medievale, tra Bizantini, Longobardi e Normanni.
Con la crisi imperiale, la Puglia, per la sua vicinanza a Bisanzio, diventa uno dei teatri più frequenti della guerra tra le truppe germaniche che intendono sottomettere l’Italia e l’esercito bizantino che invece vuol difendere quel che resta dell’antica supremazia imperiale. Il Tavoliere e l’Appennino Dauno diventano terra di conquista, di razzie. I Goti di Totila radono al suolo la più brillante e fiorente delle colonie romane, Arpi. Le altre città della pianura, Teanum e Herdonia sono del pari travolte. Per tutte inizia un declino che si concluderà con la loro estinzione. Più tardi, ai Goti si sostituiscono i Longobardi, che sul finire del VII secolo, conquistano praticamente l’intero territorio pugliese, alternandosi a più riprese nel dominio sul territorio, con i Bizantini, senza che mai si giunga ad una soluzione definitiva.
Ma la guerra è guerra, e porta a conseguenze disastrose per i centri dauni; Lucera viene distrutta nel 663, e i superstiti sono costretti a rifugiarsi a Lesina. Anche Aecae conosce la distruzione.
Il solo baluardo resta il Gargano, con Sipontum e la nuova città di Monte S.Angelo, sorta nel V sec. dopo la prodigiosa apparizione dell’Arcangelo Michele ed il cui Santuario diventerà di lì a breve un punto di riferimento per la cristianità di tutto il mondo. Il primato politico e religioso dell’Arcivescovo di Manfredonia, e la posizione tutto sommato periferica della città di Siponto rispetto agli scenari della guerra, salvano il Gargano e forse contribuiscono anche alla nascita di San Severo, il cui toponimo si riferirebbe ad un governatore locale, convertito proprio dall’Arcivescovo di Siponto. Il Santuario verrà eretto monumento nazionale dai Longobardi, evidentemente profondamente suggestionate dalle assonanze tra l'Arcangelo e le divinità nordiche.
Per raggiungerlo, i Longobardi costruiranno o miglioreranno le strade esistenti, dando vita alla “Via Sacra Longobardorum”, lungo la quale nacque Rignano Garganico.
L’altomedioevo descrive insomma una situazione incerta, in cui dominazioni e dominatori si succedono senza che sia mai possibile trovare un equilibrio duraturo.
Ad assicurare delle prospettive di sviluppo civile, ci pensa tuttavia il potere religioso. Durante l’XI ed il XII secolo, gli ordini monastici colonizzano ampie zone del territorio. Abbazie e conventi sorgono un po’ dappertutto. Essi erano già saldamente presenti a San Marco in Lamis, con il Convento benedettino di S.Matteo fondato nel 589 e con S.Maria di Calena, a Peschici, fondato da Ludovico II nell’872.
Tra le badie più potenti, quella di Pulsano, nei pressi di Monte S.Angelo, e quella delle Tremiti, che data la sua particolare posizione riuscì anche ad assicurare la costante difesa dell’arcipelago. Nuovi insediamenti civili sorsero proprio grazie all’opera di colonizzazione religiosa: è il caso di Casale Trinità, l’attuale Trinitapoli, affidato alle cure della Badia di Trinità della Cava, sorto nel 1106.
Simbolo dell’importanza della penetrazione della chiesa, è forse Troia, città guelfa per eccellenza. Nel 1093 viene avviata la costruzione del Duomo, ritenuto da molti studiosi come il più bell’esempio di monumento romanico pugliese, che sarà condotto a termine nel XIII secolo, proprio quando gli abitanti di Troia ingaggeranno con Federico II un braccio di ferro, che si concluderà con la distruzione delle mura, e la perdita del primato che Troia aveva avuto fino ad allora sul resto della provincia.
Intanto, attorno all’anno Mille, inizia un movimento di ritorno verso le città abbandonate.
All’inizio del secondo millennio, Lucera e Troia vengono rifondate, mentre l’inarrestabile declino di Arpi porta alla nascita, non molto lontano dal sito della vecchia città romana, di Foggia.
E mentre le città si ripopolano, nel conflitto tra Bizantini e Longobardi comincia a profilarsi una svolta. Nel 1009 Bari si ribella ai bizantini, ma la rivolta viene presto sedata e il suo capo, Melo, è costretto a fuggire e a trovare riparo nel Gargano. Qui, il condottiero barese si incontra con un gruppo di Normanni, venuti in pellegrinaggio a Monte S.Angelo per onorare l’Arcangelo Michele.
Nasce così, all’ombra dell’Arcangelo, un’intesa strategica che avrebbe favorito la calata normanna in Puglia e nella Capitanata. Appoggiato da Papa Benedetto VIII, Melo si ribella nuovamente ai Bizantini che sconfigge a Civita, presso l’attuale S.Paolo Civitate.
Ma i Bizantini reagiscono e presto riescono a riprendere il sopravvento. Perché la rivolta di Melo abbia definitivamente successo è necessario che i Normanni scendano direttamente in guerra contro i Bizantini. Melo muore dopo aver ottenuto dall’imperatore tedesco Enrico II la promessa di un'alleanza contro i Bizantini. Ed effettivamente Enrico II scende in Puglia, ma, fermato dal lungo ed improduttivo assedio, è costretto a rinviare i progetti di invasione.
I Normanni, stanziati in Irpinia, iniziano così un’opera di penetrazione non solo militare, ma anche politica. Convincono molte città, a divenire loro alleate, concedendo ad esse una certa autonomia ed indipendenza e le città accettano volentieri, attratte dalla speranza della pace.
Ai Normanni si oppose Papa Leone IX che però venne duramente sconfitto e catturato a Civitate. Sembra che sia stato proprio l’umano trattamento riservato dai Normanni al pontefice prigioniero ad ammorbidire i rapporti tra questi ed il Papato e a spianare la strada verso la loro totale affermazione. Il Papa li dichiara “vassalli” della Chiesa.
Roberto il Guiscardo viene proclamato da Papa Nicolò II “duca della Puglia”.
Ma la speranza della pace si rivelò ben presto effimera. L’intera regione, forte anche dell’appoggio del Papa e dell’imperatore tedesco Lotario II, si ribellò a Ruggero II che fu costretto a riconquistarla con le armi.
A pagare un duro prezzo per questa instabilità politica fu soprattutto l’Appennino Dauno, puntualmente devastato. Nel 1137 l’antica e fiorente città di Montecorvino venne saccheggiata e distrutta e i suoi abitanti in fuga dettero vita a Pietra Montecorvino e Motta Montecorvino.
La Capitanata assiste poi alle complesse vicende dinastiche dei Normanni, che si concludono con il matrimonio tra Enrico VI di Svevia e Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II, matrimonio dal quale nasce Federico Ruggero, che più tardi sarebbe diventato l’imperatore Federico II. È l’avvento degli Svevi, che coincide per la provincia di Foggia con uno dei periodi di maggiore interesse fulgore storico.

L’età d’oro degli Svevi
Con gli Svevi, la provincia di Foggia ritrovò una forza ed una centralità che aveva da tempo perdute. Il giovanissimo sovrano deve controllare un territorio che si estende dalla Germania alla Sicilia, sicché trascorre in età matura molto tempo a Foggia. Nel 1223 avvia la costruzione della reggia, di cui resta oggi soltanto il portale erigendo la città ad “inclita sedes imperialis”. A sentire i cronisti il palazzo, eretto da Bartolomeo da Foggia, era di una straordinaria ricchezza: ricco di marmi, fontane e statue. Appassionato di caccia e di animali esotici, Federico avrebbe anche fatto costruire a breve distanza dall’abitato un grande vivarium. Nell’estate del 1224 inizia l’esodo dei saraceni siciliani nella colonia di Lucera. E’ una geniale mossa militare e politica: di fede islamica e quindi per nulla sensibili al richiamo del Papa, con il quale comincia a profilarsi la contesa, Federico poteva contare ad occhi chiusi su questi 16.000 uomini dai quali esigeva una doppia tassa, una per la coltivazione dei campi e una per la tolleranza religiosa. Abili coltivatori, i saraceni sanno trasformarsi, all’occorrenza in temibili guerrieri.
Ma il rapporto della Capitanata con l’imperatore non è stato sempre rose e viole. Durante la Sesta crociata che vede Federico in Terra Santa, Foggia, Troia, San Severo, Casalnuovo e Civitate si ribellano e passano dalla parte del Papa. Federico torna precipitosamente in Puglia, ed usa la mano pesante verso le città che lo avevano tradito. Foggia gli chiude le porte in faccia, e da S.Lorenzo in Carmignano, l’imperatore lancia la sua invettiva nei confronti della popolazione che lo ha tradito.
Le città si arrendono ma l’imperatore farà demolire le mura di Foggia, San Severo e di Troia, mentre avvierà nell’aprile del 1233 la costruzione del Palatium di Lucera.
Gli interventi di Foggia e di Lucera non sono i soli che Federico attua durante il suo regno. Egli pare molto affascinato dalla Capitanata non solo per ragioni strategiche e per il suo amore per la caccia. La provincia di Foggia è una terra vergine dal punto di vista politico, militare ed amministrativo, in cui si può sperimentare quel modello di regno moderno di cui l’imperatore è stato tenace precursore.
Oltre ai Palatium di Foggia e Lucera, Federico II costruì castelli a Vieste e a Sannicandro Garganico, una residenza per la caccia ad Apricena (dimora nella quale si trattenne più a lungo), ristrutturò il castello di Monte S.Angelo, fatto erigere dai Normanni, nonché altre residenze o luoghi fortificati ad Orta Nova, Deliceto, Cerignola, Salpi, . Nessun’altra zona dell’impero ha ricevuto da Federico II tante attenzioni quanto la Capitanata, a conferma di quanto egli ambisse a sperimentarvi un modello nuovo di stato e di amministrazione.
Federico trascorre gli ultimi anni della sua vita per lo più in Capitanata, duramente provato dalle guerre contro la Lega Lombarda e contro il Papato. Tra gennaio e marzo del 1243 fa la spola tra Foggia e Apricena; l’anno successivo trascorre tutto l ‘inverno nella sua reggia di Foggia, poi è costretto ancora a vagare per l’Italia e per l’Europa, aggravandosi il conflitto con il Papa.
Fa definitivamente ritorno in Puglia a luglio del 1249, per morire a Castelfiorentino, vicino Torremaggiore, il 13 dicembre del 1250.

La crisi: Manfredi.
A Federico successe il figlio Manfredi, che venne incoronato a Foggia l’11 agosto del 1258, dopo una lunga contesa sulla successione. Manfredi fonda nel 1256 la città di Manfredonia, costruendo un possente castello che sarà portato a compimento dagli Angioini. Manfredonia raccoglie in pratica l’eredità della vicinissima Siponto, ormai decaduta per l’insabbiamento del porto e per l’impaludamento circostante.
Ma la dinastia sveva non durò molto a lungo. Il Papa , sempre in guerra con gli Svevi sollecita l’intervento di Carlo d’Angiò che si impossessò del Regno battendo Manfredi a Benevento e successivamente sconfiggendo il nipote di Federico II, Corradino.
Ancora una volta, la Capitanata e la Puglia vennero così a trovarsi al centro di violenti conflitti. Mentre il centro politico del Regno scivolava verso Napoli, la provincia di Foggia pagava le conseguenze dell’instabilità del potere e delle violente guerre di conquista.
Carlo d’Angiò muore a Foggia il 1286, lasciando il regno al figlio Carlo II che ingaggia la guerra con Pietro III d’Aragona, genero di Manfredi, accorso dalla Sicilia. Carlo II distrugge la colonia saracena di Lucera e avvia la costruzione del Duomo, tenta anche di ripopolare la città, dopo averne scacciato i saraceni, con colonie provenzali. Ma queste non si adattano al clima del Tavoliere, e ottengono dal re il permesso di trasferirsi nelle montagne più vicine: nascono così Faeto e Celle San Vito, con il loro caratteristico dialetto franco-provenzale.
La dominazione angioina, che prosegue con Roberto d’Angiò, non provoca però l’auspicata ripresa. Anzi, quando a Roberto d’Angiò succede Giovanna I, la Capitanata e la Puglia devono scontare la vendetta di Luigi d'Ungheria, fratello di Andrea, marito di Giovanna, ucciso in misteriose circostanze. Luigi sbarca a Manfredonia e conquista l’intera regione con una sanguinosa guerra.
Si innesca una spirale di caos, di anarchia feudale, riesplodono vecchie rivalità, che si concludono soltanto quando, con la morte di Giovanna II, gli angioini escono di scena e lasciano il posto agli aragonesi.
Alfonso d’Aragona conquista il Regno nel 1442, svolgendo un’intensa opera di ricostruzione e di pacificazione.

L’istituzione della Dogana, croce e delizia dell’economia.
È durante il suo Regno, che il Tavoliere conosce, con l’istituzione della Dogana, la più profonda e radicale ristrutturazione della sua storia. Con Alfonso I, i pascoli e la transumanza e tutta  l’attività economica e mercantile che ruota attorno ad essi, vengono rigorosamente regolamentati ed interamente statalizzati.
La Dogana è, appunto, il complesso sistema fiscale e giuridico che regola l’assegnazione ed il fitto dei pascoli del Tavoliere, d’ora in poi rigorosamente demaniali.
Per secoli, gli introiti della “mena delle pecore” diventeranno una delle voci più consistenti del bilancio statale. Gli storici hanno molto discusso sui vantaggi e sugli svantaggi che la riforma di Alfonso provocò sull’economia locale. Certamente, lo sviluppo di un’agricoltura moderna fu sostanzialmente impedito dalla demanializzazione del Tavoliere.
La riforma di Alfonso I fu grandiosa, in quanto non si limitò esclusivamente agli aspetti organizzativi, giuridici e fiscali della Dogana, ma comportò una generale riorganizzazione del territorio: vennero reintegrati i tratturi, le lunghe vie erbose lungo le quali si spostavano le greggi, vennero organizzati i tratturelli, i bracci, i riposi. Circa tremila chilometri di strade, lungo le quali si svolgeva la complessa attività legata alla pastorizia transumante.
Le greggi giungevano nel Tavoliere il 25 novembre; entro il 28 il doganiere assegnava ai “locati” l’area di pascolo, che andava, per ogni 100 pecore, da 24 a 49 ettari, a seconda della natura del terreno. Nelle terre salde, che erano quelle di maggior pregio dal punto di vista pascolivo, era proibita la coltivazione; in quelle in cui la coltivazione era consentita, occorreva utilizzare uno speciale aratro in modo da non distruggere la radice delle erbe, che venivano usate, dopo la semina, per il pascolo.
Così il Tavoliere diventò uno dei maggiori tributari alle casse dell’erario statale, e venne condannato, per legge, ad una paralisi economica che avrebbe non poco condizionato i secoli futuri.
La riforma di Alfonso I introduce considerevoli mutamenti anche nei rapporti demografici all’interno della provincia. Lucera si avvia a perdere il primato demografico ed economico a vantaggio di Foggia, che grazie al mercato della lana, alla fiera, diventa città terziaria, mentre le speranze di una pace duratura che aveva provocato l’arrivo degli Aragonesi vengono presto frustrate.
Il successore di Alfonso, Ferdinando d’Aragona, è costretto a difendersi dal tentativo di rivincita di Giovanni d’Angiò, che riesce a sconfiggere, ma a prezzo di un’altra, dura guerra, durante la quale si distingue per valore e coraggio il patriota albanese Giorgio Castriota detto Scandeberg, che viene ricompensato dal sovrano con i feudi di Monte S.Angelo e di San Giovanni Rotondo.
Ma anche in questo caso si tratta di un equilibrio effimero. La calata francese in Italia con Carlo VIII provoca una generale sollevazione in Puglia, ma Spagnoli e Francesi raggiungono a Granata nel 1500 un’intesa, che provoca  l’invasione e la conquista dell’intero Regno di Napoli.

Età moderna ed occupazioni straniere
L’età moderna inizia per la Capitanata e per la Puglia con l’ennesima occupazione straniera. Spagnoli e Francesi guerreggiano tra di loro per il controllo del Regno, gli Italiani sono dalla parte spagnola. In questo contesto si inserisce la famosa Disfida di Barletta del 1503, che vede la vittoriosa partecipazione nelle file italiane di Miale da Troia.
La vittoria sembra essere un buon viatico per la conclusione della guerra: a Cerignola, gli Spagnoli con rinforzi svizzeri e tedeschi, riescono a sconfiggere definitivamente i Francesi. D’ora in poi, mentre il conflitto franco-ispanico si allontana dal mezzogiorno, per investire altri e nuovi teatri di guerra, inizia per la Capitanata un periodo di declino, di progressivo impoverimento parallelo ad una politica fiscale dello Stato sempre più rapace.
Il trattato delle Due dame nel 1529 consegnò definitivamente  Capitanata e Puglia alla Spagna, la cui dominazione, salvo brevi parentesi, durerà fino all’Unità d’Italia.
Per alcuni secoli la storia sembra fare un passo indietro. Gli accadimenti che avevano fatto assurgere la Capitanata a crocevia del mondo, nei secoli passati, perdono di spessore e di risonanza. Da capitale del Regno che era, la provincia di Foggia ne diventa provincia, e periferia.
Il declino è inevitabile, inarrestabile e contrappuntato da altre tragedie. Nel 1554, l’ennesima, tragica scorreria dei Turchi sulle coste garganiche provoca un eccidio.
I saccheggi turchi erano stati per diversi secoli un autentico flagello, ma nulla in confronto alla incursione di Dragut Rais che a Vieste, fa decapitare su una pietra (“chianga amara”) migliaia di inermi cittadini: soprattutto bambini ed anziani, colpevoli solo di non poter essere venduti come schiavi.
Per fronteggiare le ricorrenti invasioni dal mare, inizia la costruzione delle torri di vedetta costiera che punteggiano ancora oggi l’intero promontorio garganico. Questo sistema difensivo non impedirà, tuttavia a Manfredonia, di cadere nel 1620 nelle mani dei Turchi e ancora a Vieste di subire la violenza musulmana nel 1674 e nel 1678.
La rivolta di Masaniello a Napoli ha ripercussioni abbastanza rilevanti in Capitanata , nelle estati del 1647 e del 1648. Sono diffusi la povertà, il malcontento verso gli incettatori di grano e di lana da un lato e gli agrari di Cerignola, Troia. I moti vengono facilmente repressi e i loro promotori uccisi, ma senza che - com’era accaduto in altre parti del Regno - la popolazione si profondesse in scene di giubilo e in manifestazioni di fedeltà verso i sovrani.
In questo contesto di povertà e di miseria, vanno ad inserirsi purtroppo le calamità che ricorrentemente colpiscono la provincia di Foggia.
Nel 1731, durante il breve periodo della dominazione asburgica, un altro terribile terremoto spazza via Foggia ed altri importanti centri. È rasa al suolo anche la Cattedrale del capoluogo, ma la Madonna dei Sette Veli appare ai fedeli riuniti in preghiera, rassicurandoli.

Le nozze regali, la liberazione del Tavoliere.
In realtà, la Foggia del Settecento è ricca di contraddizioni, ma anche di positivi fermenti. Comincia nel XVIII secolo l’intenso dibattito tra gli economisti sull’affrancamento del Tavoliere, ovvero sul superamento del regime demaniale che aveva fino ad allora sostanzialmente impedito il decollo dell’agricoltura. Soprattutto nel capoluogo si consolida una borghesia che aspira a diventare classe dirigente.
Nel 1797 vengono celebrate, a Foggia, le nozze tra il principe ereditario Francesco e la principessa Maria Clementina d’Austria. Tutta la corte si sposta nel capoluogo dauno che per un paio di settimane diventa la capitale del Regno. Le spese (30.000 ducati) sono a carico della civica amministrazione, ma l’occasione è propizia perché alcune agiate famiglie di proprietari terrieri, diventino nobili sul campo.
Si profila, insomma, una nuova classe dirigente, ma, di lì a poco, ancora una volta, la provincia di Foggia diventa teatro di scontri orrendi. Nel 1799, i francesi mettono a ferro e fuoco San Severo, uccidendo tremila persone.
La breve parentesi del Governo dei Napoleonidi fa registrare importanti avvenimenti. Il 21 maggio del 1806; re Giuseppe Bonaparte abolisce ogni dazio ed ogni privilegio dello Stato sul Tavoliere, concedendo le terre ai “possessori in atto”. Ma è un’altra beffa verso le popolazioni, perché i possessori in atto sono per lo più abruzzesi. Il Tavoliere, insomma, cambia padrone, senza che le sue naturali risorse possano ancora servire al riscatto civile ed economico.
Tra l’altro, perché l’agricoltura si sviluppi c’erano da affrontare altre gravi questioni. Il Tavoliere era per lo più paludoso, malsano, malarico, e la situazione demografica era assai poco incoraggiante. Nel 1761 era sorta Poggio Imperiale, ad iniziativa del principe di Sant’Angelo, Placido Imperiale. Qualche decennio dopo sarà la volta di S.Ferdinando, voluta da Ferdinando II per proteggere gli abitanti di Saline (oggi Margherita di Savoia), decimati dalla malaria.
Manca la piccola proprietà, l’iniziativa privata che può favorire la trasformazione, lo sviluppo. La maggior parte del patrimonio fondiario è nelle mani dei baroni latifondisti e della chiesa.
Illuminante, in proposito, la situazione di S.Severo descritta dal Galanti nella sua Descrizione delle Due Sicilie: “Due soli cittadini hanno un poco di terra in pieno dominio e questa terra non eccede 130 versure; tutto il resto - circa 11.500 versure - è in mano del barone e delle chiese”.
Ma proprio da San Severo partirà nella seconda metà dell’Ottocento, la riscossa dell’agricoltura. Saranno infatti impiantati qui i primi vigneti, che mutano l’aspetto di un Tavoliere desolato e malsano, ed avviano le premesse per la produzione agro-alimentare.

La Capitanata in prima fila, per la libertà
Intanto, le idee di libertà, di democrazia e di progresso avevano cominciato a mettere salde radici in Capitanata. I moti costituzionali del 1820 cominciano in Puglia proprio dalla Capitanata, tra Foggia e Manfredonia. Guglielmo Pepe, con Gaetano Rodinò e Lorenzo De Conciliis, organizza militarmente le vendite carbonare. All’esplosione del moto di Nola, l'apporto delle squadre giunte dalla provincia di Foggia è determinante: quando il 9 luglio la rivolta si conclude con la concessione della costituzione, a sfilare a Napoli davanti a re Ferdinando I sono ben 5.000 carbonari provenienti dalla provincia di Foggia.
Mentre Ferdinando II fonda S.Ferdinando di Puglia nel 1839, si distinguono per il loro spirito liberale ed innovatore nel parlamento di Napoli i dauni Vincenzo Lanza e Luigi Zuppetta, a testimonianza di uno spirito profondo che alberga nell’opinione pubblica.
I moti risorgimentali vedranno infatti ancora una volta protagonista la provincia di Foggia. A Foggia, il 17 agosto del 1860 la popolazione si solleva al grido di “Italia, Vittorio Emanuele, Garibaldi dittatore”. Il plebiscito per l’annessione al Regno d’Italia dà risultati inequivocabili, ma anche segnali inquietanti: su 65.252 votanti i “no” sono soltanto 996, ma a San Giovanni Rotondo e San Marco in Lamis le urne vanno completamente deserte, mentre a Lesina e Poggio Imperiale i “no” sono particolarmente numerosi.
La diffidenza verso il potere costituito, l’obbligo della leva imposto dal nuovo Stato, la perdurante condizione di miseria che affliggeva la maggior parte della popolazione, la mancanza delle attese riforme: furono forse queste le concause di un malcontento che esplose poi in un ribellismo generalizzato e nel brigantaggio, fenomeno che in provincia di Foggia fu più virulento che nel resto della Puglia.
A Bovino e nel Bosco dell'Incoronata le bande dei briganti avevano veri e propri quartier generali che riuscivano a tenere testa a squadroni di cavalleria e reggimenti di fanteria. Per alcuni tratti, il brigantaggio assunse l’aspetto di una vera e propria guerra civile. Tra il 1860 ed il 1871 furono occupati e saccheggiati San Giovanni Rotondo, Mattinata, Vieste e Vico Garganico. Apricena impedì l’assalto dei briganti con una drammatica guerriglia nei pressi del convento dei Cappuccini, lo stesso accadde ad Ischitella.
Lo Stato riuscì a sconfiggere il brigantaggio più con le armi sottili della diplomazia che non con quelle militari: il banditismo cominciò a vacillare quando lo Stato promise la grazia a quanti si pentivano e deponevano le armi.
Ma il malcontento restava comunque alto, evidentemente sorretto da condizioni di vita che rimanevano alquanto grame. Nel corso di una carestia, nel 1898, il rincaro del prezzo del pane porta ancora una volta la gente a sollevarsi a Foggia: viene incendiata la sede municipale.

Il Novecento, secolo tragico illuminato da Padre Pio
L’episodio, che chiude significativamente l’800, è quanto mai emblematico delle contraddizioni e delle amarezze che la Capitanata ha conosciuto anche durante il XX secolo. Notevole è stato il tributo di vittime pagato alla vittoria della Prima Guerra Mondiale, dichiarata, peraltro, da un illustre figlio della Capitanata, il Primo Ministro Antonio Salandra, nativo di Troia.
Gli anni del dopoguerra registrano una forte tensione nelle campagne e le prime proteste bracciantili, guidate da Giuseppe Di Vittorio, sindacalista di Cerignola che avrebbe guidato anche la Federazione Sindacale Mondiale.
Il fascismo avvia una serie di opere di bonifica e completa l'acquedotto pugliese, cercando di restituire un ruolo guida soprattutto a Foggia. Ma il progetto naufraga sotto i colpi delle bombe alleate, durante la seconda guerra mondiale, che si avventano con particolare e drammatica virulenza su Foggia, nodo ferroviario strategico.
I bombardamenti che insanguinano la città nel luglio e nell’agosto del 1943 provocheranno 22.000 vittime, facendo meritare a Foggia la medaglia d’oro al valore civile.
Il disastro più grave, in una storia plurimillenaria, costellata da ripetuti disastri, calamità e distruzioni di ogni genere.
La seconda metà del secolo viene scandita da due eventi importanti, che aprono per l’economia provinciale nuove prospettive di crescita e di sviluppo.
Negli anni Sessanta, il contemporaneo avvio della industrializzazione e la creazione del sistema irriguo voluto dalla Cassa per il Mezzogiorno, rendono possibile un nuovo ordinamento colturale (vengono così introdotte coltivazioni come la barbabietola ed il pomodoro tipicamente industriali ) e soprattutto agganciano finalmente l’agricoltura a prospettive di tipo industriale.
Ma lo “sviluppo possibile” procede non senza contraddizioni. Nelle viscere del Subappennino Dauno vengono scoperti giacimenti metaniferi tra i più grandi d’Italia, che tuttavia non serviranno per alimentare l’apparato industriale locale. Alcuni insediamenti industriali, come il petrolchimico di Manfredonia, protagonista negli anni Settanta di una drammatica fuoriuscita di arsenico, sono assolutamente sganciati dalle vocazioni locali, e chiudono i battenti.
Il Novecento si conclude però con una speranza legata alla presenza in Capitanata di una delle figure più grandi del secolo: Padre Pio da Pietrelcina, l’umile frate colpito dalle stimmate, e morto in odore di santità a San Giovanni Rotondo, dopo aver fondato uno degli ospedali più avanzati e grandi d’Italia, per lenire le sofferenze umane.
Per salutare Padre Pio in provincia di Foggia è venuto lo stesso Papa Giovanni Paolo II, ed in vista del Giubileo del 2000 potrebbe positivamente concludersi il processo di beatificazione in corso.
Con la speranza che l’esempio di Padre Pio, il suo rigore, il suo coraggio, la sua fede possano aiutare le popolazioni di Capitanata a ritrovare, nel Terzo Millennio, la grandezza della loro storia e della loro tradizione.