Capitolo 5

VARIANTI E INTEGRAZIONI SINO ALLA FINE DELLA DOGANA

Son tanti gruppi alquanto diversi per eeto e per ragioni pubbliche e private, tra i quali si sente di tanto in tanto il dolce tintinnio delle sonagliere al collo dei superbi destrieri che, tra pietre e bassa polvere, conducono al trotto le variopinte carrozze.
Il   baricentro dell'attività pubblica e privata è uscito dal vecchio dedabo di vie e vicoli per porre le sue basi su una nuova area che si proietta, con augurali intenti, verso mezzogiorno e verso ponente incontro ai vecchi conventi ancora lontani dalla libera cinta urbana.
In questa, da molti lustri dopo la funesta primavera del '31, l'agile campanile della Cattedrale svetta, comunque, sull'intero tessuto urbano, quasi a voler riaffermare la sua insuperata cima con la lunga ombra girevole al mutar del sole. Esso si offre,ancor meglio che oggi, al viandante che da ogni dove, seppur lontano, brama raggiungere in fretta la città per trovar ristoro e meritato riposo.
Ma in realtà non v'è reale competizione tra moli vicine eppur cosi sostanzialmente diverse; chè la funzione di questa rientra in quella tra tutte le due cappelle ove, pur tra angusti limiti, gli animi dei responsabili possono ritrovare quella serenità indispensabile alla giusta amministrazione della giustizia.
Le due grandi camere, con i loro documenti, non possono certamente rappresentare la concreta e piena realizzazione dei grandi sogni di Mons. Cavalieri, ma restano nel vario edificio come traccia evidente dell'originale disegno del Vescovo di Troia.
Nella sua eterogenità per destinazione, Palazzo Dogana conserva a piano terra le umide carceri che tra il '63 e il '64, utilizzandosi parte dei settore criminale, sono dotate di infermeria con due finestre sul giardinetto, cancello verso strada e quattro letti allestiti dal falegname della Real Casa Romolo Baratta 65.
Poi, per oltre due lustri, quel che fu un lungo cantiere, ormai sgombro di squadre, fili a piombo, cazzuole, carriole, pennelli, asce e uomini di fatica, ha la meritata e sospirata pace; e tra le sue mura si odono soltanto le arringhe o, al cessar di queste, il brusio e i sommessi commenti dei presenti ai riti giudiziari.
Ma le nuove esigenze incalzano sempre più, sia perchè l'archivio manifesta evidenti segni d'insufficienza a contenere libri, processi e scritture che riflettono l'aumentato contenzioso e la condizione sociale, sia per lo stato oramai deplorevole delle sistemazioni esterne che non si addicono a cotanto edificio.
Nei febbraio del '73 il proarchiviario Gaetano Roselli rappresenta al Governatore don Saverio Danza la necessità di dare spazio all'archivio dei quale fa un'accurata descrizione; nello stesso mese del '76 il Danza invia supplica al Re accompagnandola con una piantina parziale e proponendo di "... aggiungere due stanze accosto la Ruota, una delle quali per l'uso di darsi la corda ai carcerati, l'altra vuota e contigua all'Archivio". Il Governatore esclude, per motivi economici, il completamento delle camere al piano superiore, ma il Goyzueta così gli scrive da Napoli il 7 marzo 1776: "... Ma considerando il Re, che gli Archivi stanno meglio quanto meno esposti, e sono li maestri de' Governi: Laonde vuoi fare la maggiore spesa, che si dice necessaria per ridurre ad Archivio le stanze del piano superiore di codesto Palazzo Doganale"66.

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Si riprese, dunque, il lavoro in quell'anno, ma solo per opere in-terne di rifinitura e arredamento delle tre camere del secondo piano da aggiungersi alle due ampie del vecchio archivio al piano sottostante. mentre, per effetto di atto cli appalto del 22 febbraio, i mastri appaltatori Antonio Caggiano e Vincenzo Di Palma realizzavano imbrecciate liste e basolati all'interno dell'edificio, sistemando questi ultimi anche all'interno del portone maestro 67.
Il 24 maggio 1777, a conclusione dei lavori, il Presidente Governatore Danza potè riferire al Re che 68: " .... Nell'ultima delle due stanze del vecchio Archivio ho fatto eriggere una comoda gradiata di duro legno.... non essendosi potuta fare di pietra per non franare di peso la lamia delle carceri, su delle quali sta situato esso Archivio. Nell'alto di questa gradiata si entra nella prima stanza del nuovo Archivio, la quale dà l'ingresso a due altre consecutive... Nella prima di esse, che è la più grande,
vi   ho fatto situare la sola scrittura patrimoniale (libri mastri, squarciafogli, squarciafoglietti, giornali, registri di terre salde ed altro), nel la seconda stanza vi ho fatto situare i processi civili e nella terza i processi criminali col medesimo ordine cronologico.... Non ostante che si siano riempiute queste tre stanze del nuovo archivio superiore, che non sono mica piccole, pure ne è rimasta una quantità considerevole nell'archivio, osia inferiore, composto come si è detto di due stanze, e ne rimane spazio bastante...". (v. tav. XXVIII)
Nel '78 il falegname Ignazio Stella realizzò le cinque vetrate della loggia per circa 43 ducati cadauna, e due anni dopo si mirò all'utilizzazione di ogni ambiente rimasto incompleto al secondo piano per fronteggiare le sempre maggiori esigenze di attrezzature amministrative. (v. tavv. XXIX e XXX)
In corso d'opera, in ossequio al dispaccio reale del 20 aprile 1780, il nuovo Presidente don Filippo Mazzocchi provvide a far apportare viriazioni nel settore delle carceri aggiungendovi un fondaco accanto all'infermeria, modificando le destinazioni di alcuni terranei primitivi per ricavare il nuovo corpo di guardia e trasferendo o ampliando il carcere civile sino all'infermeria stessa. Dispose, inoltre, il completamento delle quattro camere per destinarle agli scrivani del Regio Patrimonio 69.

Sia pure per settori limitati agli interni, riprese l'attività in Palazzo Dogana senza eccessiva continuità, dovendo esso rispondere con le sue molteplici strutture e col suo organico al particolare governo delhi cosa pubblica. Ma non erano pochi quelli dei diversi ceti sociali che da lungo tempo avvertivano e prospettavano la necessità di profonde riforme, tese soprattutto all'acceleramento delle lente e sfibranti proce dure giudiziarie, alla migliore garanzia dei diritti dei cittadini del regno e alla soluzione della grave situazione economica, dovuta al secolare contrasto tra l'impresa agricola e quella pastorale.
Erano i tempi in cui, forse più forti che in altri, si avvertivano i profondi contrasti tra agricoltori e pastori, tra i fautori di una economia agraria e quelli che intendevano tenere in vita la vecchia Dogana delle pecore con riforme ritenute taurnaturgiche. Il Tavoliere si era spopolato da tempo, la vegetazione erbacea ed arborea aveva malinconicanien. te e ineluttabilmente ceduto il passo ai gravi dissesti delle infrastrutture, agli acquistrini e alla malaria; agli abusi di una parte corrispondevano quelli dell'altra e la violenza si diffuse sempre più portando miseria e degradazione sociale specie alla parte più generosa. e onesta della popolazione.
Le rendite della Dogana erano, in conseguenza, enormemente diminuite e la Corte tentò soluzioni economiche anche nel settore agricolo favorendo nel '61 la creazione della colonia di Poggio Imperiale da. parte del principe di S. Angelo Placido Imperiali, e nel '74 quelle ben più consistenti di Carapelle, Ordona, Orta, Stornara e Stornarella su terreni espropriati ai Gesuiti.

Intanto, il consigliere delle finanze Gaetano Filangieri, per dar respiro alla Dogana delle pecore, favori gli affitti sessennali delle terre mirando alla censuazione delle stesse ma deludendo quanti vedevano ogni rosea soluzione della crisi economica addirittura nell'abolizione della vecchia e secolare istituzione doganale.
Par di poter cogliere, in varie epoche storiche, situazioni e problemi sociali particolarmente vivi e sentiti dalle oneste popolazioni, in quanto interessano le stesse - pur se sempre piuttosto distaccate dalla classe dirigente - per gli immediati riflessi di certe interessate e deleterie politiche. L'abbandono delle terre da parte degli agricoltori e dei massari di campo, le peggiorate condizioni igieniche e infrastrutturali, l'insicurezza dei locati e degli stessi agricoltori di fronte alla violenza spesso incontrollabile perchè organizzata da coloro che si muovevano sub dolamente sulla scia di superiori esempi in altri settori in una specie di contagiosa spirale, le non rare connivenze tra elementi di categorie diverse, gli interessi personali che accecavano varie autorità, la perdita sostanziale di ogni senso della morale e dell'ordine possono portare solo e soltanto all'abbandono di ogni residua volontà di operare e, quindi, alla degradazione e alla miseria della collettività.
Ferdinando IV e i suoi ministri consiglieri, così come le autorità pe-riferiche, non potevano assolutamente ritenersi estranei e immuni da colpe per la grave situazione. Il Re volle intervenire anche nel settore giudiziario, e in particolare nel governo della Dogana, emanando l'editto del novembre 1788 col quale ridusse in Collegio il Tribunale doganale assegnandogli un secondo Uditore e dandogli nuove norme tendenti al più rapido funzionamento dell'apparato giudiziario70

Già il 5 aprile 1788, il ministro delle finanze Ferdinando Corradino, nel comunicare al Presidente Governatore marchese don Nilo Malena la decisione reale di accedere alla richiesta di conferire forma collegiale al Tribunale, prospettò l'esigenza di apprestare in Palazzo Dogana un appartamento per il secondo Uditore71. Lo studio fu condotto dall'ingegnere foggiano don Gennaro Mazza nel luglio e dal regio ingegnere don Ignazio De Nardo nell'agosto dello stesso anno. I due tecnici previdero appartamenti di otto camere sul corpo meridionale, riducendo quello del primo Uditore e consigliando una nuova scalinata 72.

Disponendosi di duemila duoati, la procedura fu rapida, chè l'atto di appalto è del successivo giorno 26 e per esso i muratori foggiani germani Paterno Tommaso, Giuseppe, Francesco, Domenico e Salvatore e Di Palma Vincenzo, procedettero con materiali della Corte ai lavori per " il nuovo quarto di abitazione del secondo Uditore sopra la loggia scoverta, o sia sopra le stanze di questa regia segreteria, percettoria e libromaggiore73. (v. da tav. XXXI a tav. XXXIII)

La loro opera fu valutata 700 ducati, secondo lo " scandaglio " fatto dal mastro muratore della Real Casa Domenico Antonio Romito, mentre il mastro falegname Ignazio Stella, sempre per la Corte, allestiva il preventivo delle opere in legno e dava le disposizioni necessarie ai colleghi foggiani Antonio Di Stasio e Filippo Mingiguerra.

Non mancarono equivoci e discussioni, anche se il De Nardo venne espressamente da Napoli per risolvere il problema degli alloggi col suo collega foggiano, col Fiscale e gli stessi Uditori; ma alla fine le parti interessate dovettero sottomettersi alla volontà reale che non ammetteva ulteriori indugi nel pieno e completo ripristino della funzionalità dell'edificio.

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Ancora ventisei anni dall'ormai lontano '62 per qualche variante, per completare l'ala meridionale e rendere funzionali alcune camere rimaste incomplete: Palazzo Dogana si apre verso l'esterno soltanto a po-nente col suo giardinetto, sul quale continuano ad affacciarsi anche le finestre posteriori del Tribunale, quasi a guardia delle più piccole aperture che danno alle carceri.

Ogni ambiente, dalle grotte semibuie ai fondaci aperti sulle pubbliche vie, dai piccoli ai grandi vani d'abitazione sui due piani superiori, dall'ampliato archivio ai vari uffici annessi al Tribunale e alle rifinite stanze destinate agli uffici patrirnoniali, sembra restaurato e più accogliente, fiducioso di potersi lungamente offrire ai ministri della Dogana, ai funzionari, al personale dì servizio e al pubblico senza temere di subir modifiche o addirittura di cadere sotto nuovi colpi di piccone.

A lungo han tremato le strutture e paventato la loro fine, da quelle antiche alle più recenti: le più rispondenti alle eterne leggi della statica e quelle più fortunate, perché sfuggite ai capricci o alle oggettive necessità degli uomini, traggono un sospiro di sollievo e gioiscono sotto i molteplici colori e fregi apposti pazientemente da validi pittori e decoratori. Le dimensioni non sembrano ubbidire alla semplice ma inesorabile legge della fissità del numero, sicché quando i ministri della Dogana vagano in ogni ora del giorno e della notte per il grande Palazzo, sembra loro che gli ambienti di volta in volta siano diversi e sempre più adatti agli umori e alle esigenze umane: un modo di vivere, e la materia può vivere quando non è amorfa, forse dimesso e poco dignitoso, ma ancor oggi (e forse sempre) anche la materia plasmata nulla può opporre alla furia demolitrice dell'uomo se non l'intimo desiderio di con-servarsi quale patrimonio culturale dell'umanità civile.

Forse le rozze travi legnose della complessa e ampia orditura dei tetti si nascondono tra i luminosi soffitti e gli impavidi embrici rossi perché timorose del loro aspetto, ma confidano nella loro importante funzione che concorre a conservare il tutto sia quando picchia il solleone, sia quando la pioggia e la grandine rovinano paurosamente sulla città.

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Prima ancora del suo tramonto, il secolo XVIII, che aveva visto i natali del Doganal Palazzo, doveva riservare al massimo edificio foggiano l'onore e l'onere d'essere sede dei festeggiamenti per le nozze tra il Principe ereditario Francesco, figlio di Ferdinando IV, e l'adolescente Principessa Clementina d'Austria.
La notizia, se provocò nel popolo soprattutto comprensibile curiosità, risvegliò l'aristocrazia locale, l'autorità religiosa e quella doganale in particolare; chè l'arrivo del Re, della Regina Maria Carolina, del Principe e del loro numeroso seguito di ministri, dame e personale d'ogni rango poneva loro seri problemi e non soltanto sul piano finanziario. Ovviamente, il popolo avvertiva solo l'aspetto festoso e fastoso dell'avvenimento, senza minimamente valutare quello politico e amministrativo; il clero, le maggiori famiglie foggiane e i ministri della Dogana, ognuno per la propria parte e per la propria funzione, erano attenti e doverosamente sensibili a tutti gli aspetti onde degnamente ricevere gli ospiti e con-correre alla piena e migliore riuscita del lieto evento, forse unico nella storia di Foggia.
L'attesa e i preparativi furono lunghi, e questi ebbero inizio nel '96 proprio in Palazzo Dogana che, sulla base del preventivo del tecnico foggiano Gaetano Donadio, fu ancora una volta invaso da personale di fatica che provvide alle opportune trasformazioni sotto la valente regia del detto ingegnere. In verità si trattò di lavori che interessarono soprattutto opere di restauro e rifinitura per apprestare appartamenti degni di tanti ospiti: si tompagnarono alcune porte ed altre furono aperte a
forza nelle sofferenti strutture murarie, si spicconarono intonaci rigonfi e altri furono rifatti così come vari soffitti che il tempo aveva palesemente deteriorato, si sostituirono bussole e si abbatterono banchi di cucina a più fornelli per crearne altri in ambienti diversi, e si dette, infine, una nuova veste alle coloriture esterne, ormai sbiadite sotto l'inesorabile azione degli agenti atmosferici, così come quelle interne, un tempo tanto candide.
Si crearono una bottiglieria e una biscotteria con forno all'esterno dell'edificio e si rifece, in parte, l'acciottolato nel cortile con le solite guide calcaree idonee ad agevolare l'incedere degli uomini e dei loro mezzi trainati da cavalli di razza superbamente addobbati.
Gravi furono gli impegni dei pittori e dei decoratori, nonchò quelli dei falegnami Raffaele Stella e Gaetano Iondoli, mentre lo scrupoloso " interino apposentatore" Gaspare Pacifico curava per la Real Casa la contabilità di cantiere.
Il 13 maggio 1797 l'ing. Gaetano Donadio riassunse e stimò i lavori in ducati 6815-98, di cui 1795-99 per "robe movibili", dettagliando ogni spesa nella sua "valute delli qui sotto lavori fatti nel Real Palazzo per il felice soggiorno delle loro Maestà, che Dio Guardi, in Foggia"74.
Fu un procedere metodico sulla base di uno studio di dettaglio accurato e completo che, pur non interessando le strutture fondamentali del complesso, mise a dura prova la valentìa del tecnico e la pazienza delle maestranze. Non mancarono indicazioni preferenziali da parte della Corte di Napoli perchè lo stabile assumesse veste reale pur nelle sue provinciali dimensioni, nè vennero meno gli impegni dei responsabili locali nel finanziamento dei lavori. (v. tav. XXXIV)
Non si esitò nel procedere alle più meticolose verifiche per garantire " il felice soggiorno delle loro Maestà ", tanto da disfare subito un " nuovo forno e due pagliacci" perchè non atti all'uso dei cuochi e da disporre ulteriori spese per ducati 298-52 riguardanti " altri lavori posteriormente fatti per la nuova cucina formata per togliere l'insopprimibile calore alle volte sottoposte al quarto della Reale Principessa, riscaldato dal fuoco della suddetta officina, essendo stato comandato da Sua Maestà, Dio Guardi, per mezzo dellinterino apposentatore della Real Casa don Gaspare Pacifico ".
E tutto fu necessariamente pronto per dar tempo ai mobilieri, anch'essi frettolosi sotto la spinta imperiosa dell'autorità doganale, di dare gli ultimi ritocchi e di apprestare quanto di meglio l'artigianato poteva offrire.
Palazzo Dogana era a nuovo, con gran sospiro di sollievo, per il felice 28 giugno 1797 e, nel contesto urbano, la sua mole miracolosamente sfuggita ai colpi demolitori era evidenziata dal chiaro sole della prima estate. Mentre offriva i suoi sobri colori esterni agli occhi dei cittadini, racchiudeva gelosamente tra le sue mura, in piano nobile da levante a mezzogiorno, l'appartamento reale, quello della sposa e l'ultimo dello sposo, che ebbe la sua camera da letto in quella che era stata la segreteria del Tribunale.
Alle dame di compagnia e alle cameriere riservò l'appartamento in secondo piano, che era stato del Fiscale, e al maggiordomo sufficienti vani nel medesimo piano dalla banda opposta. Per una settimana fece sot-toporre i settori delle carceri civile e criminale all'opera ingrata di due facchini che, per quindici carlìni al giorno, provvidero a disinfettare il tutto con aceto onde offrire sicura dimora al "controloro" e ai granatieri; al corpo dì guardia offrì due ampi vani a sinistra del portone principale e, somma grazia, consentì alle sole detenute di soggiornare nell'ambiente da tanto tempo a loro destinato.
Poi venne il 27 giugno e le strade cittadine, dalla via dei Mercanti allo stradone del SS. Salvatore, dalla strada di Pozzo Rotondo alla più ampia Porta Reale, sembrarono restringersi tra due ali di popolani stupefatti da tanto nobile sfarzo; e quando il gran corteo di carrozze delicatamente tirate da cavalli, appena visibili sotto le abbondanti e variopinte barclature, arrivò al principal portone, questo si dilatò come il cor tue maggiore e ai grandi convenuti si offrirono i dolci gradini in pietra dello scalone d'onore che portano alla loggia coperta e al gran salone del Tribunale.
In ogni sua parte e con ogni sua struttura, Palazzo Dogana volle rispondere alle pretese degli uomini coronati, forse nei giorni più belli della sua ormai lunga esistenza, ostendando legittimamente dignità e prestigio d'opera nata per fare storia non effimera nella città di Foggia.
Il grandioso salone del Tribunale fu l'epicentro del grande avvenimento reale, e tra le sue spesse mura le dolci note musicali fecero dimenticare per diversi giorni le possenti arringhe degli avvocati. L'ultimo ricevimento fu particolarmente felice per diverse famiglie foggiane che già nell'anno precedente avevano generosamente concorso ad un prestito pubblico, e che poi avevano fornito alle loro Maestà sontuose carrozze con impeccabili equipaggi. Ferdinando IV, con la sua singolare accorta politica, dispensò titoli di marchese ai Preda, ai Celentano, ai Saggese e ai Filiasi, certo di aver compiuto atto compensatore di tante benemerenze da tempo acquisite dai suoi fedeli sudditi.


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Il felice soggiorno foggiano di Sua Maestà e della sua Corte sembrò effettivamente attribuire all'edificio il titolo reale, chè lo stesso Ferdinando IV lo ritenne consacrato e si riservò il primo piano, estromettendo gli Uditori e concedendo al Presidente l'appartamento del Fiscale ed a questi l'appartamento del primo Uditore.
Sistemati il Presidente Giuseppe Gargani e l'avvocato Pasquale Dell'Acqua, gli Uditori Michele Accinni e Giovanni De Gemmis si ebbero centocinquanta ducati ciascuno per sistemarsi in abitazioni private e dovettero non poco penare per arrivare, dopo varie peregrinazioni, il primo in casa del brigadiere MECK e il secondo in due celle dei Padri Teatini. Ma già nel luglio del '97 l'Accinni prese in fitto un appartamento nel palazzo di don Francesco Antonio Rosati, a Porta Reale, e il secondo trovò migliore sistemazione in un appartamento del marchese Celentani.
Le stesse carceri doganali, per disposizione reale, furono destinate a magazzeni per la lana o fittati a privati artigiani onde evitare la presenza dei detenuti che furono trasferiti a Lucera in numero di cinquanta. L'appartamento del secondo Uditore fu destinato ad uffici per gli scrivani del Patrimonio e per quelli della Segreteria; altri scrivani occuparono il gran salone del Tribunale che, comunque, continuò ad assolvere le sue antiche funzioni al servizio della giustizia.
Sorse presto, però, il problema del ritorno a Foggia dei detenuti e si prospettò la necessità di realizzare un nuovo Tribunale con annesse carceri. All'uopo, la Corte di Napoli inviò a Foggia l'ingegnere camerale Giovanni Ragozini che, coadiuvato dai collega foggiano Gaetano Donadio, scelse come sito alcuni vecchi stabili spettanti alla Cappella della SS. Annunziata Sulmona
La reazione dei foggiani fu immediata e, contro tale scelta, inviarono supplica al Re perché facesse realizzare le opere in siti liberi o scoperti, come quello " alla tirata della casa di Guadagno vicino al pozzo di S. Chiara e l'altro al largo del palazzo Scassa vicino S. Eligio".
Aggiungevano i cittadini ricorrenti che il carcere si sarebbe ritrovato tra stretti vicoletti e, quindi, in condizioni igieniche deleterie sia per i detenuti che per gli abitanti degli stessi vicoletti.
Ma, malgrado i ricorsi del 26 dicembre 1797 e del 23 gennaio successivo, debitamente sostenuti dal medico fiscale don Gennaro Mazza, si fronteggiò primieramente il problema carcerario riattando e trasforman do tre sottani entro i quali ben presto un'epidemia di "febbre putrida maligna" fece la sua prima vittima. Tre abitanti dei vicoletti rimasero contagiati e si riebbero dopo lunghe cure; tuttavia, malgrado la precarietà della situazione igienico-sanitaria, fronteggiata con misure d'emergenza, per tutto il '98 non si ebbero variazioni di sorta
Poi arrivarono fugacemente i francesi che occuparono il primo piano di Palazzo Dogana destinandolo all'amministrazione militare, ma il '99 vide alfine ripristinarsi la situazione col ritorno del Governatore, del Fiscale e degli Uditori nei loro antichi appartamenti.
Anche le vecchie carceri doganali ripresero la loro funzione (74 bis),

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Se l'edificio era sostanzialmente integro e oramai del tutto restaurato, pur col parziale ritorno alla sua vecchia funzione mediante immancabili varianti 75, l'istituzione doganale viveva, stanca e preoccupata, i suoi ultimi anni, mentre tra gli economisti e i cittadini di maggior prestigio si faceva sempre più tesa l'appassionante polemica che interessava la coesistenza tra agricoltura e pastorizia.
Quel che in alcune nazioni europee più progredite, e nella stessa Italia settentrionale, era un fatto compiuto, trovava nel meridione molteplici difficoltà che affondavano le loro radici nel buio dei secoli.
Con la rivoluzione francese molte nuove idee circolavano per l'Europa, la situazione politica era precaria e le stesse istituzioni vacillavano pericolosamente; per cui le proposte di riforma o cozzavano contro vecchie mentalità o non trovavano animi sereni nei responsabili della cosa pubblica.
L'avvento dell'effimera repubblica partenopea, alla fine del secolo, fece ristagnare la situazione a causa della precarietà del potere centrale e di quello periferico, nonché per l'insorgere del triste brigantaggio che colpiva soprattutto privati agricoltori, pastori e armenti.
Il nuovo arrivo dei francesi in Puglia, nel 1801, sembrò dare altra linfa ai molti animi riformatori che si opponevano alla secolare Dogana della mena delle pecore e agli ordinamenti che la reggevano; poi, nel 1804, durante il breve ritorno borbonico, e precisamente il 16 agosto, in un avvio di riforma attraverso la censuazione, si formò una giunta composta dal Presidente della Camera della Sommaria Vincenzo Sanseverino, da Nicola Vivenzio e dagli avvocati fiscali Ottavio d'Arena e Domenico Martucci.
Gli scontenti non mancarono e alle loro richieste si tentò di rimediare verso la fine dell'anno successivo, quando, addi sette dicembre, Ferdinando IV concesse l'affrancazione dei canoni al quattro per cento sulle terre demaniali poste a coltura.76
Quindi tornarono i francesi e il progetto di censuazione fu da loro adattato alla situazione con idee nuove. Con legge 21 maggio 1806, Giuseppe Bonaparte sanzionò la fine della vecchia Dogana della mena delle pecore in Puglia, dopo trecentocinquantanove anni da che fu istituita da Alfonso d'Aragona, e le terre demaniali furono concesse a colonia perpetua. L'ultimo bando annunciante la censuazione perpetua del Tavoliere, emesso dall'ultimo Presidente Governatore della Regia Dogana Giuseppe Gargani, è del 26 maggio 1806 77.
Per vari anni, dunque, in tanto fragoroso cozzare di idee e d'armi, il Doganal Palazzo si sentì attonito e impaurito: tornarono a tremare tutte le sue strutture e i suoi fregi, i portoni cercarono inutilmente di chiudersi ai nuovi arrivi e lo scalone d'onore vanamente tentò d'invertire la sua pendenza, i colori delle facciate e delle camere tentarono di nascondersi agli occhi di tutti, o almeno mitigarsi, e lo stemma reale andò a nascondersi nelle grotte semibuie ove permanevano i residui odori delle dispense presidenziali.
La sua possente mole nulla poteva a difesa della sua conservazione e il dubbio sugli intenti di chi sa quali nuovi dominatori la teneva irresistibilmente vincolata alle vecchie fondazioni; mentre l'acqua limpida del pozzo nel cortile maggiore preferì disperdersi in una miriade di imperscrutabili vene sotterranee.
E sembrò venir la luce quando Gioacchino Murat, con suo decreto del 26 settembre 1808, dispose che in Palazzo Dogana vi fossero il tribunale di prima istanza e il tribunale criminale; ma il disaccordo tra il mastrogiurato Gioacchino Antonellis e l'intendente barone Nolli, che si manifestò per atti anche poco leali, approdò ad una soluzione che non favori la città di Foggia.
Infatti, il Nolli, che prima voleva far trasferire il tribunale nell'espropriando convento di S. Domenico per sistemare gli uffici dell'Intendenza in Palazzo Dogana, si impose d'autorità e d'astuzia all'Antonellis, che propugnava entrambe le sistemazioni nel medesimo edificio, e con nuovo decreto sottoscritto a Baiona fece trasferire il tribunale a Lucera con intenti che dovevano ritenersi provvisori 78.
Chiuso in se stesso, muto e ossequioso, il Doganal Palazzo attese trepidamente le conseguenze degli eventi che erano maturati.